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Mercoledì, 16 Settembre 2020 10:47

Mauro De Mauro, le ragioni della scomparsa: mafia, Mattei e Golpe Borghese?

Scritto da Angela Curatolo

Mauro De Mauro, oggi ricorre il giorno della sua letterale scomparsa, 16 settembre 1970, è stato un giornalista italiano, rapito da Cosa nostra e mai più ritrovato.

Una storia dolorosa e atroce.

Il giornalista venne rapito la sera del 16 settembre del 1970, mentre rientrava nella sua abitazione di Palermo. Il rapimento avvenne un paio di giorni prima della celebrazione delle nozze della figlia Franca. De Mauro fu visto l'ultima volta dalla figlia Franca mentre parcheggiava l'auto in via delle Magnolie. Nell'attesa che il padre raccogliesse delle vettovaglie dal sedile della macchina, entrò nell'androne per chiamare l'ascensore. Vedendo però che non la raggiungeva, uscì nuovamente dal portone e scorse suo padre circondato da due o tre persone risalire sulla propria vettura e ripartire senza voltarsi a salutarla. Riuscì a cogliere soltanto la parola «amunì» detta da qualcuno a suo padre poco prima di mettere in moto e ripartire senza lasciare traccia.

La sera successiva l'auto venne ritrovata a qualche chilometro di distanza in via Pietro D'Asaro, con a bordo le piccole vettovaglie che il giornalista aveva acquistato rincasando. L'auto fu ispezionata con cura, il cofano fu aperto dagli artificieri, ma non furono reperiti elementi utili alle indagini. Furono allestiti posti di blocco e disposte minuziose ricerche, ma dello scomparso non si seppe più nulla. Tra le varie ipotesi formulate sulle ragioni della sua sparizione figura anche quella relativa all'inchiesta sulla morte, secondo lui dovuta a omicidio e non a incidente, del presidente dell'ENI Enrico Mattei, una trama che si è intrecciata con altri affaire italiani quali il golpe Borghese. Dopo il rapimento, il suo corpo non è mai stato ritrovato.

Suo fratello minore Tullio De Mauro, linguista, fu Ministro della pubblica istruzione. Mauro de Mauro, a Palermo, dopo la seconda guerra mondiale, lavorò presso giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e poi a L'Ora, rivelandosi un ottimo cronista. Nel 1962 aveva seguito la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei e dal 21 luglio del 1970 si stava nuovamente occupando del caso, in seguito all'incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi di stendere una bozza di sceneggiatura sull'ultimo viaggio in Sicilia (26-27 ottobre 1962) del defunto fondatore dell'ente petrolifero di Stato in preparazione del film Il caso Mattei, che sarebbe uscito nel 1972.

Movente? Pista della droga e mafia, pista Matei e pista del golpe Borghese.

Le indagini sulla sparizione del giornalista furono condotte sia dai carabinieri di Palermo, secondo i quali sarebbe stato sequestrato da Cosa nostra indispettita dai suoi articoli contro il traffico di stupefacenti, sia dalla polizia, che ritenne piuttosto che la sua aggressione fosse collegata alle sue ricerche sul caso Mattei. Principali investigatori per l'Arma furono il capitano Giuseppe Russo, responsabile dell'ufficio investigativo, e il col. Carlo Alberto dalla Chiesa; per la polizia il commissario Boris Giuliano. Anni dopo tutti e tre sono caduti, in circostanze diverse, vittime della mafia. Il p.m. Vincenzo Calia, che condusse la seconda inchiesta sulla morte di Mattei (1994-2003), e poi i giudici di Palermo hanno accertato l'assoluta inconsistenza della cosiddetta "pista droga".

Nelle motivazioni della sentenza emessa il 10 giugno 2011 i giudici di Palermo hanno identificato nella "pista Mattei" la più attendibile «causale» del sequestro e della soppressione del giornalista. In altre parole Mauro sarebbe stato eliminato perché non divulgasse «quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapé, violando un segreto fino ad allora rimasto impenetrabile", col rischio di mettere "a repentaglio l’impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni» di Mattei e di produrre «effetti devastanti per i precari equilibri politici generali in un Paese attanagliato da fermenti eversivi».

Aveva ripreso ad interessarsi della vicenda Mattei fin dal marzo 1970, quando Graziano Verzotto, presidente dell'EMS (Ente Minerario Siciliano), lo aveva convinto a "sostenere il progetto del metanodotto" Algeria-Sicilia da lui caldeggiato e a "contrastare chi vi si opponeva", il nuovo uomo forte dell'Eni Eugenio Cefis e Amintore Fanfani. Sarebbe stato retribuito dall'EMS per "un incarico per una ricerca sociologica" sugli effetti dell'industrializzazione sull'area di Termini Imerese. Così De Mauro venne trasferito nella sede staccata di Messina e poi, dopo il suo forzato rientro a Palermo in seguito alla frattura di un braccio (aprile 1970), dove fu assegnato nella redazione dello "Sport", settore per il quale egli non presentava competenza alcuna.

L'incarico conferito da Rosi all'amico giornalista aveva indotto l'ex senatore Verzotto a ritenere che "tale film poteva essere uno strumento per sostenere e alimentare la campagna che l'ente da presieduto intendeva portare avanti contro la presidenza dell'Eni e contro coloro che si opponevano alla realizzazione del metanodotto". Si era pertanto offerto di aiutare De Mauro "a ricostruire i due giorni di permanenza di Mattei in Sicilia per indirizzare utilmente – in chiave di contrasto all'allora presidente dell'Eni (Cefis) – il suo lavoro per Rosi".

In precedenza De Mauro si era occupato anche di mafia.

Il 23 ed il 24 gennaio 1962 aveva pubblicato, sempre su L'Ora di Palermo, il verbale di polizia, risalente al 1937 e caduto nel dimenticatoio, in cui il medico siciliano Melchiorre Allegra, tenente colonnello medico del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale, affiliato alla mafia nel 1916 e pentito mafioso dal 1933, elencava tutta la struttura del vertice mafioso, gli aderenti, le regole, l'affiliazione, l'organigramma della società malavitosa. Tommaso Buscetta, davanti ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quindici anni dopo la morte del giornalista, ebbe ad affermare che: "... De Mauro era un cadavere che camminava. Cosa nostra era stata costretta a 'perdonare' il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per quello scoop. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa". Dal 5 al 23 novembre del 1969 aveva pubblicato in cinque puntate sul giornale L'Ora una biografia di Lucky Luciano. Nel 2010 le cinque puntate verranno raccolte da Beppe Benvenuto e Elena Beninati dando vita al libro edito da Mursia.

Le connessioni tra il sequestro De Mauro e il delitto Mattei, fatte emergere a Pavia dal p. m. Calia, e le propalazioni di diversi collaboratori di giustizia hanno motivato l'apertura, nel 2001, di una terza inchiesta giudiziaria, conclusasi con un processo durato dal 2006 al 2015, la sentenza emessa il 10 giugno 2011 dai giudici della terza sezione della Corte d'Assise di Palermo ha prodotto una ricostruzione degli eventi di grande utilità per gli storici ma fu senza condanne.

''Ho uno scoop che farà tremare l’Italia'' (Mauro de Mauro).

Una simile affermazione non passo inosservata decretandone la condanna a morte. Il CNDDU invita i docenti dell’area umanistica – giuridica – economica a proporre una riflessione agli studenti sul profondo valore del giornalismo d’inchiesta e sull’importanza del ruolo di chi, spesso mettendo in serio pericolo la propria incolumità, sceglie di informare la collettività su verità scomode. La criminalità prospera nel silenzio, collude e si ramifica nel territorio. I giornalisti rivelano aspetti occulti ed eversivi, il cui segreto tutela la parte oscura e insana della società. Individuare i principali giornalisti e tracciarne un profilo dello stile investigativo – operativo potrebbe costituire un’attività trasversale inspirata dai grandi temi della legalità.

La vita di Mauro de Mauro

Figlio di un chimico e di un'insegnante di matematica, fu sostenitore del Partito Nazionale Fascista ed allo scoppio della seconda guerra mondiale si arruolò volontario. Militò nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese; dopo l'8 settembre 1943, aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Restò legato al principe anche dopo la guerra ed in suo onore chiamò la seconda figlia Junia.

Nel 1943-1944, nella Roma occupata dai tedeschi, fu vice questore di Pubblica Sicurezza sotto il questore Pietro Caruso, informatore del capitano delle SS Erich Priebke e del colonnello Herbert Kappler e collaborò con la Banda Koch, un reparto speciale del Ministero dell'Interno della Repubblica Sociale Italiana. Alla fine della guerra fu sul fronte di Trieste a contrastare il IX Corpus sloveno, di nuovo con Borghese, come corrispondente di guerra della Decima, con il grado di sottotenente.

Un suo fratello aviatore morì in guerra, in un incidente aereo occorsogli presso Novara (altre fonti dicono Verona), nel 1944. De Mauro in seguito ad un incidente stradale mentre guidava una motocicletta riportò lesioni con esiti permanenti in termini di menomazioni fisiche (aveva il naso ricucito ed era claudicante).

Sull'origine di queste menomazioni fisiche circolarono però anche altre versioni: secondo alcune sarebbero state causate da un violento pestaggio subito da un gruppo di partigiani, secondo altre a malmenarlo sarebbero stati addirittura alcuni commilitoni fascisti a causa di un presunto tradimento.

Nell'estate del 1945 fu arrestato a Milano dagli Alleati e rinchiuso prima a Ghedi poi nel Campo di concentramento di Coltano, dal quale riuscì a fuggire nel settembre successivo; secondo alcune fonti poté evadere approfittando di un momento di confusione generato dalle visite dei parenti dei detenuti.

Anche la moglie Elda, per via della sua militanza filofascista, era braccata dai partigiani nel pavese: in un rapporto del CLN si leggeva il suo nome tra i più pericolosi avversari del movimento partigiano. Dopo l'evasione da Coltano, assieme alla moglie ed alle figlie Franca e Junia, nate proprio in quel periodo, raggiunse Napoli dove rimase per il biennio 1946-1947 sotto falsa identità.

Nei processi per collaborazionismo, in particolare per presunta partecipazione alla strage delle Fosse Ardeatine, fu prima condannato in contumacia nel 1946, poi assolto, nel 1948, per “insufficienza di prove”, dalla Corte d'Assise di Bologna; infine nel 1949 fu prosciolto dalla Cassazione, che confermò l'assoluzione, aggiungendo la motivazione di proscioglimento "per non aver commesso i fatti" addebitatigli, cioè con formula piena.

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