Le sue acque sono di color blu cobalto intenso e navigandolo non si riesce a vederne i confini.
Raggiungiamo la città di Puno dove troviamo ad accoglierci un bimbetto di soli dieci anni che prende lezioni dal papà per poter imparare a navigare con la loro barca che li sostenta. A quell'altitudine, circa 4000 m il “soroche” (mal d'altitudine) sopraggiunge e se non ci fossimo riforniti in un mercatino vicino al porto di foglie di coca da masticare, non avremmo potuto goderci il paesaggio e l'escursione.
Gli Uros è la popolazione indigena che ci accoglie su una delle numerose isole e ci ospita in famiglia: questo è il loro progetto ecologico per evitare che grandi multinazionali possano costruire resort, hotel e ristoranti per accogliere i turisti da quelle parti. Abbiamo portato loro del cibo in cambio della cena e l'ospitalità per la notte. Parlano spagnolo, ma preferiscono il quechua che oltre ad una lingua è uno stile di vita.
Quando al mattino riprendiamo il viaggio sul lago, l'atmosfera è quasi lunare. Ci ospitano sulle isole fluttuanti fatte di canne di totora intrecciate e ci offrono mais bollito con chicchi grandi e bianchi e naturalmente il “mate de coca” di cui non ne possiamo più fare a meno. Ci offrono in vendita i lavori ricamati a mano ed altri manufatti tipici. Gli orti galleggianti dove coltivano principalmente ortaggi. Anche le case sono capanne intrecciate a mano e una ragazzina addirittura mi fa entrare per mostrarmi il suo guardaroba! Di canne di totora intrecciate sono anche le barche: alcuni bimbi arrivano e ne fanno accomodare altri a mo' di scuolabus.
Un'esperienza fiabesca! Le foto parlano da sé...