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Martedì, 18 Aprile 2023 09:20

L'artiglio del Diavolo.

Scritto da Manuela Prosperi

scritto da Manuela Prosperi

Un breve racconto firmato Manuela Prosperi, alunna di esimi personaggi come Francesco Guccini, Lorano Macchiavelli, Carlo Lucarelli e tanti altri, pubblica L'artiglio del Diavolo, l'avventura accaduta ad una donna ordinaria. Buona lettura

 

Sono una donna ordinaria.

Ho un lavoro normale, un marito, dei figli. Ho un cane e un'utilitaria. Ho delle amiche. Proprio con quelle amiche amiche avevo deciso di passare un fine settimana di libertà da qualche parte vicino casa,a pochi chilometri verso la montagna.

Successero delle cose...Io non so se è stato un sogno o se è stata realtà...So solo che il ricordo non portà mai andare via dalla mia memoria.

Era l'ora del tramonto, faceva caldo, quel caldo di agosto che sembra luglio e ancora non è piovuto mai, nell'auto i finestrini erano aperti e viaggiavo sola verso i Monti della Laga. La musica mi faceva compagnia ma: mi ero persa. La benzina era poca e il buio faceva capolino.

L'auto decise di arrestarsi nei pressi di un ammasso di rocce, pare a prima vista un antico maniero.

 

Scendendo dall'auto nessun segnale, nessun'anima, nessuna luce. Il buio incalzava.

Raccolsi i capelli con una fascia di lana e misi una felpa, perchè era anche freddo.

Pare si trattasse dei ruderi del Castello di Macchia, ma questo lo seppi solo in seguito.

Un fremito mi passò nel costato, non so se fosse una folata di vento ormai di una sera di agosto montanara, o un brivido di curiosità. Presi la torcia del cellulare e mi feci avanti fra le rocce e i muschi.

C'era qualcosa, in quella situazione, che mi stava chiamando. Sempre più forte.

Da un balconcino dismesso, da lontano, si vedeva insolita e fioca, una luce. Balbettavano al vento ,tra quei lumi improvvisi, capelli: capelli neri di donna, lunghi e lisci. Sì, io non stavo sognando, c'era una donna sui quarant'anni affacciata a quel rudere che mi stava facendo cenno di avvicinarmi. In mano aveva un grosso candelabro: era quello che faceva luce, così spensi la torcia del mio cellulare. Quella presenza, così garbata, non so come né perchè, mi rassicurava. Quella donna era bellissima.

Man mano che mi avvicinavo, però, avvertivo sempre più la luce e meno la figura e quella luminosità si andava spostando verso un punto preciso, una sorta di cunicolo dabbasso al grande maniero ed io giù, sempre più giù ormai ipnotizzata da quelli che ormai erano rimasti solo gli occhi della bella dama del balcone.

 

Improvvisamente. Buio. Pesto. I miei occhi riempiti fino a poco tempo prima di quella luce piena si trovarono zoppi e ciechi e inciampai in un albero: ero nel cortile retrostante. Mi cadde di getto il cellulare dalle mani tremanti e cominciai a cercare alla cieca, frugando nella terra nuda come le mie mani gelate. La terra era franosa e bagnata e appiccicava le dita, finchè inavvertitamente con l'indice toccai la torcia del telefonino, si accese e vidi sotto la terra una sorta di radice di zenzero.

Cominciò a muoversi.

Muoveva le falangi .Era splendente. Dorata. Non era una radice. Era una mano vera.

Spuntava dalla terra e diventava sempre più grande ma non ne ebbi il tempo di capire perchè in un un attimo fece un cumulo,balzò fuori e mi afferrò la gola.

 

Mi sentivo soffocare, ti tirava, mi scuoteva: quell'artiglio mi dominava. Il sangue misto alla terra danzava nella sua mano ma io non avevo paura. Può sembrare strano, ma non ne avevo. Era una sensazione totalmente inusuale. Quella creatura mi teneva in pugno.

 

Il braccio, nudo, era diafano, così come il resto del corpo era portatore di luce.

Lo guardai in quello che doveva essere il viso, una superficie piatta e dorata finchè si spalancarono due piccole fessure nere di sbieco.
Lucifero mi stava guardando fisso e dal suo sguardo credo proprio che mi trovasse bellissima.

Guardando la fessura della sua bocca, senza labbra, senza denti e senza lingua devo dire che il Diavolo era davvero molto attraente anche lui e così mi strinse la presa sul collo facendomi quasi soffocare.

La mia fascia di lana scivolò dai capelli lasciandoli liberi, lunghi di ebano.

 

Il Diavolo divenne più scintillante e man mano cresceva di statura. Sembrava un'enorme montagna dorata. I suoi artigli ormai erano sulle mie spalle e non lasciavano la presa facendo sanguinare collo e braccia.

 

D'improvviso, riapparve una luce accecante e quegli occhi ipnotizzanti di qualche tempo prima.

La dama.

Il Diavolo la guardò per un attimo e ci fu una sorta di sguardo d'intesa tra loro, come di amanti.

Poi lui scomparve all'improvviso, rimestandosi nella terra umida, lasciandomi rivoli di sangue, graffi e segni sul corpo.

 

La donna, con i suoi occhi, mi condusse fuori, poi scomparve anche lei.

 

 

Mi svegliai il mattino seguente nella mia auto.

Il maniero era illuminato dal sole e faceva caldo.

Non avevo segni sul corpo.

 

Peccato.

 

Sono un donna ordinaria.

Dicono di me che sono una persona normale, che ho una vita normale.

 

Forse non lo sono poi tanto.

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