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Martedì, 23 Marzo 2021 18:52

L’ultimo bacio - II e ultima parte

Scritto da Marco Battista

Incontro con il fantastico di Marco Battista

“Sono un po’ stanco...” “...Oggi ho avuto una giornata pesante...” erano queste le scuse che usavo negli ultimi tempi per non stare con Eleonora. Non le avevo parlato di Marisa, non sapevo nemmeno io perché. O forse sì, lo sapevo eccome.

L’ultimo bacio - prima parte - Zaffiro Magazine Giornale Online

La verità è che sentivo crescere un sentimento nuovo nei suoi confronti, un sentimento che mi faceva stare male e bene allo stesso tempo. Era forse amore? Non sapevo se era amore, ma qualsiasi cosa fosse, non la provavo più per Eleonora.

- Hai impegni sabato mattina? - mi chiese un giorno.

- Uhm... no, perché? -

- Ti andrebbe di venire in montagna con me? -

- Ma non sei impegnata con i quadri? Dove lo trovi il tempo per fare tutte queste cose? -

- Quando hai poco tempo cerchi di fare il più possibile, sennò rimandi sempre e alla fine non te ne rimane più. -

- Mi piacerebbe venire in montagna con te, ma non sono molto in forma. -

- Non preoccuparti. Vuol dire che faremo solo una passeggiata, tanto per respirare un po’ d’aria pura. Ti piacerà, vedrai. Ah, mi raccomando, metti delle scarpe comode e prendi qualcosa per proteggerti dal cattivo tempo, in montagna non si sa mai. -

Accettai, incurante del sarto, del fioraio e delle estenuanti prediche di Eleonora per le mie “dimenticanze”. Mi sarei inventato l’ennesima scusa. Avrei fatto qualsiasi cosa per rivedere Marisa. Non comprendevo a pieno le mie emozioni, ma di certo la sua vicinanza mi scombussolava. Sabato mattina arrivò e giunsi sotto casa di Marisa.

- Stefano! -

- Ciao, Marisa. Allora, si parte? -

- Sì, ma prima devo passare da mio padre. Farò in un attimo. -

- Non vedo l’ora di arrivare. -

- Vedrai che poi il bosco ti piacerà. C’è un’atmosfera magica lassù. Ma mi stai ascoltando? -

- È un peccato che un posto così bello sia diventato uno studio fotografico, con tutte queste stanze inutilizzate. -

- Già, ma cosa me ne farei di una casa tanto grande? Non sono nemmeno fidanzata. - per un istante i nostri occhi si toccarono e mi sentii attraversare da un brivido. La guardai a lungo, mi sporsi in avanti per baciarla ma qualcosa mi bloccò.

- Si sta facendo tardi, è meglio andare. - suggerì Marisa.

- Sì, forse è meglio. - Ma che cosa stavo facendo, ero forse impazzito?

Nonostante fosse una bella giornata di sole, le cime dei monti erano ancora imbiancate dalla neve e l’aria fredda sferzava i nostri visi. L’altare della Madonnina segnava l’inizio del percorso che in un paio d’ore ci avrebbe condotti alla Tavola dei briganti. Prendemmo il sentiero e il nostro percorso iniziava da lì. All’inizio pensai di non farcela a starle dietro, ma camminare al suo fianco mi rassicurava. E poi grazie a lei stavo scoprendo quanto fosse davvero rilassante la montagna. Eravamo su uno sperone di roccia a oltre mille metri sul mondo e guardando all’ingiù mi sembrava addirittura di volare.

- Hai visto che panorama mozzafiato? Senti questo profumo di fiori? Sale quando l’aria diventa umida. - disse respirando a pieni polmoni. La imitai. Erano mesi che non mi sentivo così bene. Aveva proprio ragione Marisa, quando diceva che la montagna cura ogni male.

- Sai qual è il mio sogno? - sussurrò sdraiandosi sull’erba. La osservai con un’espressione interrogativa.

- Te lo dirò, ma solo se mi prometti che non riderai. -

- Perché dovrei ridere? -

- Promettimelo. -

- Prometto. -

- Vorrei tanto ascoltare la voce dell’oceano sdraiata sulla spiaggia di Rio a guardare il sole sorgere. -

- Tutto qui? Sei ancora giovane e hai ancora tutta la vita davanti per realizzare i tuoi sogni. - lei mi rivolse una strana occhiata. Un unico colpo di tosse servì a spezzare l’atmosfera magica che si era creata fra noi. Fu allora che ripensai a Eleonora e mi resi conto di essermi dimenticato completamente di lei.

- Ci fermiamo un attimo? Sono un po’ stanca. - Si lamentò lungo la via del ritorno.

- Laggiù c’è un bel prato. -

La aiutai a liberarsi dallo zaino e voltandoci i nostri visi si ritrovarono a pochi centimetri. Sentii il cuore impazzire.

Chinai gli occhi e mi scostai da lei. Ma che diavolo mi stava succedendo?

- Non ti piaccio abbastanza? - mi chiese un po’ amareggiata.

- Certo che mi piaci, ma c’è una cosa che non ti ho detto. Le foto non sono per la comunione di mia nipote, ma per me. Fra qualche settimana mi sposo. - Marisa mi guardava senza la forza di ribattere.

- Ascolta, - ripresi - ci conosciamo da poco, abbiamo tutto il tempo davanti a noi. -

- Io non ce l’ho il tempo... - ribatté con un filo di voce. Si voltò stringendosi nel maglione di pile.

- Che vuoi dire? -

- Niente. Torniamo indietro, sto sentendo freddo. - La aiutai con lo zaino e riprendemmo a camminare. Il sentiero di ritorno era stato silenzioso per entrambi, la mia confusione era aumentata come pure il suo distacco. In meno di mezz’ora ci ritrovammo al punto da dove eravamo partiti. Salimmo in macchina e per tutto il tragitto fino a casa sua scambiammo appena qualche parola.

- Credo che a questo punto non ci rimanga che salutarci. - disse aprendo lo sportello.

- Buona fortuna Stefano, mi auguro che tu sia felice. - mormorò prima di chiudere la portiera.

- Marisa aspetta, devo dirti una cosa. Io non amo Eleonora. -

- Non capisco perché lo dici a me. È stato un errore venire qui oggi, ma la colpa è mia, non dovevo chiedertelo. -

- No, tu non hai colpe, non sapevi. -

- Che differenza fa adesso che lo so? -

- Io non voglio perderti, Marisa. - Lei mi guardò con un’espressione rassegnata. Rimasi a fissarla mentre andava via maledicendomi per non aver nemmeno provato a fermarla. A cosa era servito dirle la verità se l’avevo perduta per sempre? Provai a telefonarle e senza troppi giri di parole mi disse che era meglio se non l’avessi cercata più. E mentre Eleonora era totalmente presa dal matrimonio, il mio pensiero era rivolto alla donna che aveva messo in dubbio le mie certezze. E intanto mancavano pochi giorni alle nozze. Avevamo deciso per una cerimonia intima, in Comune, pochissimi invitati. Per il viaggio di nozze Eleonora aveva sempre desiderato visitare la Torre Eiffel, il Louvre, gli Champs-Élisées; mentre io preferivo una vacanza al mare. Inutile dire che la capitale francese aveva avuto la meglio sulle passeggiate in spiaggia al chiaro di luna.

Tutto era stato organizzato in modo impeccabile, nonostante le mie “dimenticanze”. Insomma, era tutto perfetto, tranne il mio umore.

Il giorno del mio matrimonio, uscii di casa per recarmi in chiesa ma lungo la strada una macchina accostò e scese una donna. Indossava un abito di lino bianco e un foulard sulla testa.

- Marisa! Sono felice di rivederti, vorrei tanto parlarti. E tua madre? Sta meglio? -

- Ascoltami Stefano, devo chiederti scusa. - Sembrava come se da un momento all’altro potesse scoppiare in lacrime.

- Chiedermi scusa? E per cosa? -

- Anch’io non sono stata sincera con te. -

- Si può sapere che hai? Sei strana... -

- Io... La verità è che non sono stata da mia madre. -

- Che vuoi dire? - balbettai con un filo di voce. Marisa sospirò, con un’espressione che mi gelò il sangue.

- Sto morendo, Stefano. -

- Cosa?! -

- Sono malata e non so nemmeno quanto mi resta da vivere, questi potrebbero essere i miei ultimi giorni, prima di... -

- Prima di cosa? - ripetei allarmato, ma lei risalì in macchina e corse via, lasciandomi solo. Qualche giorno dopo mi recai a Loreto sperando di trovarla allo studio fotografico del padre, ma era chiuso. Stavo per andarmene, quando un uomo mi informò che suo padre non era nello studio perché sua figlia si era aggravata ed era stata ricoverata d’urgenza. Mi precipitai in ospedale, suo padre era seduto con la testa fra le mani e non mi vide entrare nella stanza di Marisa. Stava dormendo. Era così bella che a guardarla sembrava un angelo. Tappezzai le pareti con decine di fitografie di spiagge bianche e palme da cocco, le adagiai le cuffie e feci partire la musica. Si svegliò con le note di “Vambora” nelle orecchie. Non dimenticherò mai la sua espressione quando mi vide.

- Ma... che cosa... - biascicò con gli occhi umidi. Le sfilai le cuffie e le accostai all’orecchio una grossa conchiglia. Marisa socchiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla dolce voce dell’oceano. Emise un sospiro come a volersi liberare di qualcosa che aveva trattenuto per troppo tempo. Mi guardava con amara dolcezza, poi una fitta la sorprese e una smorfia di dolore si sostituì a quell’espressione serena. Provò a tirarsi su, ma era esausta.

- Sono stanca, Stefano. Non ce la faccio più a sopportare tutto questo. Mi avevano avvisato che sarei cambiata, ma non mi avevano detto che sarebbe stata così dura. È come se il mio cuore si stesse arrendendo. -

- Ti prego, Marisa, non dire così. Insieme ce la possiamo fare. -

- No, Stefano. La verità è che sto morendo. - si lamentò, cercandomi la mano. Una lacrima solcò la sua guancia pallida, e subito un’altra era già pronta a scivolare giù dai suoi occhi arrossati.

- Grazie, comunque, per i momenti preziosi che mi hai regalato. Spero soltanto che tu sia felice come meriti. -

- Shhh... vedrai che presto starai meglio e saremo finalmente liberi di amarci. - ripetei, soffocando un grido di dolore. Mi strinse la mano, e una smorfia si dipinse sul suo volto segnato.

- Lo sai anche tu che non è vero, e poi dimentichi che ormai sei un uomo sposato. -

- No, Marisa. Il matrimonio è saltato. -

- Che vuol dire che è saltato... -

- Non preoccuparti del mio matrimonio. Sei tu l’unica donna che amo e mi sposerò soltanto con te appena uscirai di qui. - Una fitta improvvisa la fece di nuovo gemere, poi emise un ultimo, disperato sospiro. Avevo bisogno di dirle mille altre cose ancora, ma aveva smesso di ascoltarmi. I suoi occhi erano diventate come due fessure, il suo sguardo era lontano e inespressivo e la sua mano piano piano lasciò la mia afflosciandosi sul lenzuolo. Mi precipitai a chiamare aiuto e qualche minuto dopo molti uomini col camice bianco mi fecero uscire e si disposero attorno a lei. Mi rannicchiai in un angolo del corridoio ad aspettare per un tempo infinito e poi, quando incrociai lo sguardo del medico, capii tutto. Marisa mi aveva lasciato per sempre. Mi sentii crollare il mondo addosso.

- Mi dispiace, abbiamo fatto tutto il possibile per salvarla. Ha avuto una crisi e il suo fisico già molto debole è come se si fosse arreso. Ora deve essere forte come lo è stata lei in tutto questo tempo. -

Il dottore aveva ragione, dovevo essere forte, ma nel momento in cui la vidi senza vita in quel letto, cedetti a un pianto incontrollato. Mi avvicinai al suo viso e le sfiorai le labbra per l’ultimo bacio. Anche la morte aveva avuto rispetto di lei. Sul suo volto era visibile un’espressione serena, come se volesse dirmi: “Ora sto bene”. Marisa ce l’aveva fatta a realizzare il suo sogno: ora viaggiava sospesa su un raggio di luce verso le splendide e assolate spiagge di Rio, aspettando che il rovente sole incendiasse l’oceano.

F I N E

 

Ultima modifica il Martedì, 23 Marzo 2021 19:02

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