Il tombino è grembo oscuro, ventre della città, matrice nascosta dove si raccolgono le scorie dell’esistenza: ciò che la superficie non contempla, ciò che il decoro sociale censura, ciò che la coscienza collettiva teme di riconoscere come parte di sé. Ma proprio lì, in quel regno invisibile, si consuma una sapienza invisibile: la trasformazione, l’elaborazione silente del rifiuto, l’alchimia della caduta che diventa passaggio.
Chi si affretta a vedere solo la “merda” negli altri – giudicandola, dileggiandola, escludendola – ignora che spesso quella stessa materia, tanto denigrata quanto inevitabile, è destinata a compiere un viaggio catartico verso la foce: verso il mare, metafora del compimento, della verità ultima, della libertà interiore. Il tombino, dunque, non è solo passaggio fognario, ma canale esistenziale, luogo iniziatico dove l’essere umano, nella sua vulnerabilità più cruda, ritrova la direzione.
Nella sua architettura invisibile, si dipana il cammino degli spiriti feriti, degli esclusi, dei non compresi: essi attraversano oscurità e silenzi, superano curve tortuose, e lentamente si dirigono verso quella distesa d’acqua che accoglie senza chiedere, che restituisce significato anche all’informe, che sublima ciò che era stato rigettato.
Solo chi ha il coraggio – o la necessità – di discendere nei meandri interiori del “tombino storico”, di attraversare le proprie zone d’ombra, di sentire l’odore acre dell’umano scarto, può accedere alla pedagogia della liberazione. È lì che si educa l’anima: nel riconoscimento del fango come nutrimento per il loto, nel riconoscimento della colpa non come condanna, ma come occasione di riscatto e di senso.
L’educazione più nobile è quella che sa insegnare a riconoscere la bellezza nel disadorno, la luce nel crepuscolo, la dignità nel sommerso. E il tombino – antica struttura di servizio eppure oggi metafora potente – diventa l’emblema di un sapere controcorrente, che non teme l’abisso ma lo attraversa, che non rimuove il disagio ma lo trasforma, che non giudica ciò che scorre, ma lo accompagna verso la sua naturale destinazione: la libertà dell’essere, l’oceano della coscienza.
Così si compie il mistero della pedagogia nascosta: in quel tombino che il mondo calpesta, inizia spesso il viaggio di chi osa trasformare l’umiliazione in ascesa, la vergogna in coscienza, la fuga in una rotta verso la verità più profonda. Perché, come la storia ci insegna, è dalle fogne che spesso fuggono i prigionieri.
Ed è solo attraversando il sottosuolo dell’anima che si giunge – infine – al mare.
Sottosuolo dell’anima
Solo discendendo
nel grembo profondo dell’anima,
ove giacciono i moti inespressi,
i pensieri non detti,
e le ombre mai illuminate,
l’essere apprende il senso del suo stesso cammino.
È nel dolore composto e nella pazienza interiore
che si scolpisce la saggezza,
e solo allora — infine —
si schiude dinanzi al viandante il mare:
specchio infinito di consapevolezza,
luogo di quiete dopo il travaglio della coscienza.
Autore Assunta Di Basilico