Giovedì, 18 Novembre 2021 16:24

Il tesoro maledetto di Juvanum

Scritto da Nicoletta Camilla Travaglini

di Nicoletta Camilla Travaglini

Nell'Abruzzo inoltrato, non lontano dalla Grande Madre Majella, in un pianoro chiamato Santa Maria di Palazzo, sulla strada che collega Montenerodomo a Torricella Peligna, nel chietino, si possono ammirare i resti di un’antica cittadina romana chiamata Juvanum.

Le popolazioni che vivevano lungo l’intera vallata del Sangro-Aventino erano denominate italiche e la loro presenza antropica sul territorio era abbastanza elevata. Si dividevano in diverse tribù o clan chiamati: Frentani, Carecini, Pentri e Sanniti.

La Storia

I luoghi sacri, come Juvanum, sorgevano in posizioni strategiche su spianate molto ampie dove l’occhio poteva spaziare fino all’orizzonte, quasi a volersi fondere con la natura ed il divino ad essa connesso, in un particolare rapporto tra natura e l’uomo, retaggio millenario derivante da migrazioni di vita pastorale. Nasce dalla fusione nelle epoche e società diverse, dagli insediamenti romani a quelli antecedenti degli Italici.

Con le guerre sociali i Romani sottomisero le popolazioni italiche, non limitandosi a distruggere e saccheggiare gli insediamenti preesistenti, ma intrapresero una politica di sviluppo e di urbanizzazione di interi territori, come nel caso di Juvanum.

Tra alterne vicende storiche legate anche al territorio, di questa antica e gloriosa città si persero le tracce finché, nel 1880 si ebbero osservazioni occasionali da parte di archeologi, su reperti venuti alla luce fortuitamente, da scavi clandestini intrapresi unicamente per estrarre materiale antico e generi di commercio; nel 1940, però venne alla luce un “piccolo teatro”, la cui cavea era ricavata dalle pendici di una collinetta e, sulla sommità di questa, il podio di un edificio templare; dal lontano 1940 molti sono stati i reperti rinvenuti qui e oggi sono meta di molti turisti ed appassionati di storia antica.

La leggenda

Come vuole la tradizione anche intorno a questi sito archeologico aleggiano cupe leggende e strane maledizioni come quella nella quale si narra che nella seconda metà del secolo breve, un uomo era ossessionato da un sogno ricorrente: un individuo vestito con abiti di foggia antica gli indicava l’ubicazione del tesoro di alcuni briganti, che andava prelevato di notte e da solo...pena la dannazione eterna.

Così l’uomo, dapprima scettico e spaventato da questo incubo, non voleva dare ascolto ne alle premonizioni ne a queste singolari visioni oniriche, ma poi una notte snervato da questi continui presagi notturni, si armò di badile e di un paio di muli e da Torricella Peligna partì alla volta di Juvanum.

Era aggredito dai peggiori incubi che la mente umana può partorire, poiché questo tesoro grondava del sangue di innocenti, dato che era frutto delle scorrerie dei briganti e sotterrato in quei luoghi dannati. Così lo sventurato cacciatore di tesori dovette combattere con il “principe della tenebre” e suoi sudditi. Alla fine di questa lotta l’uomo riuscì a prendere il tesoro che consisteva in due ceste di Marenghi che caricò su un mulo.

Il giorno dopo l’uomo si recò da un gioielliere per fare una stima del suo tesoro, ma l’avido orefice prima si impossessò del bottino, poi minacciò di denunciarlo per appropriazione indebita di beni dello Stato.

L’uomo arrabbiato e deluso prima impazzì e poi si suicidò sparandosi un colpo di pistola alla tempia e così si compiva la maledizione del tesoro maledetto dei briganti.

Agli inizi del secolo scorso un contadino stava arando il suo campo, nei pressi di Juvanum, quando vide affiorare dal terreno alcuni monili d’oro insieme a sacchetti contenenti alcune monete.

Il contadino stupito e sorpreso dalla inattesa scoperta, raccolse gli ori e li portò alla moglie, la quale, li poggiò sulla mensola del camino per poterli ammirare. Il giorno dopo all’alba il contadino tornò al lavoro di sempre anche se una strana inquietudine aleggiava nell’aria. All’imbrunire tornò a casa dove trovò il suo cavallo con la gamba rotta e dovette abbatterlo.

Il giorno seguente la mucca si ammalò e morì; il giorno ancora dopo i cinghiali gli distrussero il raccolto, gli crollò la stalla ed il fienile via dicendo finché un brutto giorno anche la moglie del contadino non si ammalò gravemente. L’uomo spaventato e atterrito prese i monili e li riportò nel campo dove li aveva trovati e li sotterrò di nuovo, sperando di mettere fine alla maledizione…ma fu tutto inutile poiché la moglie morì di lì a poco.