Il 7 giugno 1954 moriva a Manchester Alan Turing (Londra 1912), uno dei più importanti scienziati del secolo scorso, forse il più grande se pensiamo alle implicazioni sociali, economiche e politiche delle sue scoperte. Ma solo in occasione del centenario dalla nascita è arrivato dal governo inglese un riconoscimento – sia pure tardivo – alla grandezza di un genio eccentrico che ha posto le basi per lo sviluppo dell’informatica a partire dall’immediato dopoguerra e che durante la Seconda Guerra mondiale riuscì nell’impresa di violare il codice Enigma, il sistema di crittografia che permetteva ai militari nazisti lo scambio di informazioni e ordini, contribuendo così a cambiare in maniera decisiva le sorti della II guerra mondiale.
Lo fece come membro della sezione comunicazioni del Foreign Office con sede a Bletchley Park nel Buchingamshire dove erano riunite schiere di esperti di enigmistica, scacchi e dama, matematici, fisici e stravaganti di ogni genere, tutti tesi al medesimo scopo: attaccare il codice delle forze armate naziste. Fu un successo di enorme portata, ritenuto fondamentale per l’entrata in guerra degli americani al fianco degli inglesi. Ma Turing è stato anche un uomo molto tormentato, solitario e fragile: secondo la biografia ufficiale morì suicida a soli 41 anni dopo essere stato osteggiato a lungo come un pericoloso criminale dalle autorità inglesi per via della sua omosessualità, fino ad essere sottoposto alla crudeltà della castrazione chimica.
È facile pertanto spiegare i motivi per cui in tanti siano rimasti affascinati dalla sua figura. Turing è stato celebrato di recente con tutti gli onori in convegni internazionali a lui dedicati, francobolli, mostre, opere teatrali e persino opere cinematografiche: la sua vicenda umana e scientifica ha ispirato nel 2014 il film di Morten Tyldum “The Imitation Game”, con Benedict Cumberbatch e Keira Knightley. Nel corso di una visita a Londra, l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha collocato Turing in un pantheon planetario di innovazione e scoperta, affermando: “Da Newton e Darwin a Edison e Einstein, da Alan Turing a Steve Jobs, abbiamo guidato il mondo nel nostro impegno per la scienza e la ricerca avanzata”. Il contributo scientifico che rivelò il genio di Turing si trova in una sua pubblicazione del 1936 che scrisse nel periodo in cui risiedeva al King’s College di Cambridge: On computable number. Si può ben affermare che senza le intuizioni contenute in quel testo forse oggi non avremmo a disposizione quegli strumenti tecnologici che sono entrati prepotentemente nella nostra vita di tutti giorni. In altri termini arrivò a a concepire quello che può essere definito il primo modello di calcolatore universale (o Macchina di Turing, come venne chiamata più avanti da un professore di Logica dell’Università di Princeton, Alonzo Church), che è ancora oggi il prototipo di riferimento di ciò che possa essere calcolato (e non) da qualsiasi tipo computer: una macchina capace di eseguire algoritmi e provvista di un nastro, suddiviso in celle, in cui è possibile scrivere dei simboli appartenenti a un alfabeto predefinito.
Grazie a Turing si materializza così, almeno in parte, il grande sogno che aveva accarezzato Leibniz duecentocinquanta anni prima: l’invenzione di un calcolo simbolico con cui risolvere in maniera automatica ogni genere di problemi. “Si può dimostrare – scriverà Turing nel 1947 – che è realizzabile una speciale macchina di questo tipo capace di fare da sola il lavoro di tutte; potremmo addirittura farla funzionare da modello di qualsiasi altra. Questa macchina speciale può essere chiamata «universale».” In quegli anni infatti Turing aveva compreso perfettamente quanto fosse determinante il connubio tra teoria del calcolo e tecnologia elettronica. Queste sue idee furono già anticipate dal progetto del calcolatore EDVAC americano del 1945, basato sull’architettura logica ideata dal grande matematico di origine ungherese John von Neumann. In quegli anni Turing scrisse il primo progetto di un computer con programma memorizzabile, che fu poi realizzato e denominato ACE (Automatic Computing Engine). Grazie a questi successi nel 1948 il grande scienziato venne nominato direttore del Computing Laboratory dell’Università di Manchester: un incarico di grande prestigio in quanto l’obiettivo di questo laboratorio era quello di progettare il computer con la più potente memoria del mondo, il MADAM (Manchester Automatic Digital Machine).
Nel 1950 Turing pubblicò sulla rivista Mind il saggio “Computing Machinery and Intelligence”, ritenuto una pietra miliare nel campo degli studi sull’intelligenza artificiale. Propose un esperimento, oggi noto come test di Turing, con l’obiettivo di definire i criteri per stabilire se una macchina possa essere in grado di pensare. In questo suo lavoro Turing arrivò a predire che entro la fine del secolo si sarebbe arrivati a creare dei programmi di calcolatore capaci di sostenere una conversazione con una disinvoltura tale che nessuno sarebbe stato in grado di stabilire se quello con cui stava conversando fosse una macchina o un essere umano. Il test è stato successivamente più volte rielaborato ma ancora oggi non c’è alcuna macchina che abbia dimostrato di poterlo superare.
Anche un profano sarebbe in grado di capire l’altissimo valore scientifico delle scoperte di Turing, che avrebbe senz’altro meritato di essere celebrato dal governo inglese con tutti gli onori, come un eroe nazionale. Ma non fu così e fino a pochi anni fa la sua fama di grande scienziato era nota quasi esclusivamente in ambito accademico. Il motivo è legato a quanto accadde nel 1952, quando Alan chiamò la polizia per denunciare un furto avvenuto nella propria casa, probabilmente ad opera di un giovane che aveva ospitato, confessando così candidamente di aver avuto con lui una relazione omosessuale.
Gli agenti arrivarono in casa e finirono per arrestare lo stesso Turing sulla base della cosiddetta “blackmailer’s charter” che perseguiva tutti gli “atti di palese indecenza” tra uomini, in pubblico come in privato. Alan non aveva fatto i conti con le contraddizioni della pur civilissima Inghilterra e forse non si capacitava che si potesse arrivare a privare un individuo (e nel suo caso specifico di una persona che aveva dato tantissimo alla nazione) della propria libertà solo sulla base dei personalissimi orientamenti sessuali.
“Se la società nella quale viveva criminalizzava l’omosessualità, era la società a sbagliare – David Leavitt in un'altra biografia dello scienziato – e non certo gli uomini e le donne che della società erano vittime”. Per evitare il carcere Turing accettò di sottoporsi a una pena alternativa che consisteva di iniezioni a base di estrogeni con conseguenze devastanti per il suo corpo: una tortura di stato in piena regola. Due anni dopo, l’8 giugno 1954 fu ritrovato senza vita nella sua stanza, avvelenato da una mela intrisa di cianuro.
Ma davvero si è trattato di suicidio? Il dubbio è stato avanzato di recente dal matematico inglese Andrew Hodges nella nuova edizione di una monumentale biografia pubblicata tre anni fa (Alan Turing, storia di un enigma, Boringhieri). L’autore del libro non esclude che Turing, custode di segreti di vitale importanza dai tempi in cui collaborava con l’intelligence britannica, avrebbe potuto rappresentare una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale per via delle sue frequentazioni omosessuali e per i suoi frequenti viaggi all’estero, quindi potenzialmente vulnerabile ai ricatti e a possibili tentativi di seduzione da parte di agenti stranieri. Per decenni sulla figura del grande scienziato cadde l’oblio assordante e imbarazzato delle massime autorità politiche del Regno Unito, che non hanno mosso alcun passo verso la depenalizzazione dell’omosessualità fino al 1967. La svolta decisiva vi è stata nel 2009, quando il premier laburista inglese Gordon Brown rilasciò una dichiarazione ufficiale di scuse (ma solo dopo un’accesa e ostinata campagna di sensibilizzazione sul web) per il trattamento omofobico a cui venne sottoposto Alan Turing: “Per quelli fra noi che sono nati dopo il 1945, in un’Europa unita, democratica e in pace, è difficile immaginare che il nostro continente fu un tempo teatro del momento più buio dell’umanità. È difficile credere che in tempi ancora alla portata della memoria di chi è ancora vivo oggi, la gente potesse essere così consumata dall’odio – dall’antisemitismo, dall’omofobia, dalla xenofobia e da altri pregiudizi assassini – da far sì che le camere a gas e i crematori diventassero parte del paesaggio europeo tanto quanto le gallerie d’arte e le università e le sale da concerto che avevano contraddistinto la civiltà europea per secoli. […] Così, per conto del governo britannico, e di tutti coloro che vivono liberi grazie al lavoro di Alan, sono orgoglioso di dire: ci dispiace, avresti meritato di meglio.”
Una riabilitazione in piena regola, anche se certo non sufficiente per ridare a pieno titolo l’onore perduto a un uomo che ha dato un contributo eccezionale alla causa per la libertà e per il progresso scientifico. Ci fu quindi un appello pubblicato dal Daily Telegraph (Pardon for Alan Turing) in cui alcuni dei più autorevoli scienziati inglesi come il cosmologo Stephen Hawking e il premio Nobel per la Medicina Paul Nurse sollecitarono il premier David Cameron a concedere la grazia postuma per Turing. Grazia che arrivò nel 2013 – a 59 anni dalla morte – con la firma della Regina Elisabetta II. Meglio tardi che mai: “Era un tesoro nazionale, e lo abbiamo perseguitato fino alla morte”, ha detto John Graham-Cumming, un informatico che ha promosso una campagna per la grazia al grande matematico inglese. Sebastiano Catte - 7 giugno 2020