Il 23 e il 24 giugno 2025 rimarranno impressi come due giornate di lutto per la cultura italiana: in meno di quarantotto ore, il mondo del cinema ha detto addio a due personalità diversissime, ma entrambe fondamentali per la narrazione del nostro immaginario collettivo. Lea Massari e Alvaro Vitali hanno attraversato in modo opposto, e forse complementare, la storia del cinema italiano. Lei, riservata e intensa, musa del cinema d’autore. Lui, esuberante e popolare, simbolo della comicità semplice e diretta che ha segnato un’epoca. Insieme, rappresentano due volti della stessa medaglia: l’anima profonda e quella spensierata dell’Italia sul grande schermo.
Lea Massari, la nobiltà del silenzio
Nata a Roma il 30 giugno 1933, Anna Maria Massetani, in arte Lea Massari, fu una delle attrici italiane più raffinate e meno convenzionali del suo tempo. La sua carriera ebbe inizio negli anni Cinquanta, e in breve tempo si affermò come volto del cinema europeo d’autore. Era la donna che non cercava mai la luce, ma che riusciva a illuminare ogni scena con la sola presenza. Michelangelo Antonioni la scelse per interpretare Anna ne L’Avventura (1960), un ruolo che fece epoca, perché il personaggio spariva a metà film, lasciando un vuoto che diventava tema centrale della pellicola. In quel vuoto, fatto di assenze e misteri, la Massari impose la sua aura.
Nel corso della sua carriera, lavorò con registi del calibro di Francesco Rosi, Luigi Comencini, Louis Malle, Mauro Bolognini, e Claude Sautet. Memorabili le sue interpretazioni in Una vita difficile, La prima notte di quiete accanto ad Alain Delon, Murmur of the Heart di Malle e Cristo si è fermato a Eboli, in cui fu l’emblema della dignità contadina del sud.
Ma Lea Massari non fu solo un’attrice. Fu un simbolo di riserbo e coerenza, tanto che nel 1990, ancora nel pieno della maturità artistica, decise di lasciare le scene. Non vi tornò più, scegliendo una vita lontana dai riflettori, immersa nella musica, nella lettura e nella difesa dei diritti degli animali. Una donna colta, sensibile, che preferiva la profondità alla visibilità. La sua scomparsa, avvenuta il 23 giugno 2025 nella sua abitazione romana ai Parioli, è passata quasi in silenzio, come lei avrebbe voluto. Aveva da poco compiuto 92 anni. I funerali si sono svolti in forma privata a Sutri, dove ora riposa.
Alvaro Vitali, l’anarchia comica del popolo
Un giorno dopo la morte di Massari, un altro lutto ha colpito il cuore popolare del cinema italiano. Il 24 giugno 2025 si è spento, a Roma, all’età di 75 anni, Alvaro Vitali, il leggendario “Pierino” delle commedie sexy degli anni Settanta e Ottanta. Ricoverato da due settimane per una broncopolmonite recidiva, l’attore non ce l’ha fatta. Con lui scompare una parte di quella comicità istintiva e spregiudicata che, pur guardata spesso con condiscendenza, ha rappresentato una valvola di sfogo generazionale.
Nato il 3 febbraio 1950, Vitali era elettricista prima di incontrare Federico Fellini, che lo volle in film come Satyricon, I clowns, Roma e Amarcord. Il suo volto buffo e la sua fisicità minuta colpirono l’immaginario del grande regista riminese. Ma fu con il personaggio di Pierino che Vitali divenne una vera e propria icona pop. Le sue smorfie, le battute spinte, la risata sguaiata, il rapporto grottesco con la scuola e l’autorità fecero ridere milioni di spettatori. In tempi in cui la censura era più allentata, il suo cinema divenne simbolo di un’Italia che cercava evasione, tra doppi sensi e leggerezze.
Vitali non riuscì però mai a scrollarsi di dosso quel personaggio. “In Italia non è come in America,” raccontava, “se ti va bene una parte, te la fanno fare per tutta la vita.” Malgrado la sua filmografia conti oltre 150 titoli, comprese incursioni televisive e parodie, il marchio di Pierino fu insieme una benedizione e una condanna. Negli anni 2000 aveva confessato di attraversare difficoltà economiche e umane, sentendosi dimenticato dal mondo dello spettacolo, nonostante il suo contributo culturale fosse ancora ben vivo nella memoria collettiva.
Negli ultimi anni era riapparso brevemente accanto a Lino Banfi e in sketch su Striscia la Notizia, dove interpretava Jean Todt. Ma il Vitali degli anni d’oro era ormai lontano, eppure irriducibile nella sua voglia di strappare una risata.
Due addii, una sola eredità
Lea Massari e Alvaro Vitali non hanno mai condiviso un set. Né, probabilmente, si sono mai incrociati nei salotti del cinema italiano. Eppure, se guardiamo oltre le etichette, ci accorgiamo che entrambi hanno dato voce a due forme fondamentali del nostro sentire collettivo: la riflessione e la risata, il dramma e la farsa, il pensiero e la pancia. Massari ci ha insegnato che si può essere grandissimi senza clamore. Vitali ci ha ricordato che il ridicolo è una forza sovversiva che può fare più rumore della serietà.
Con la loro morte, si chiude simbolicamente un ciclo. Un’epoca in cui il cinema italiano sapeva spaziare con naturalezza dal sublime al grottesco, dalla raffinatezza europea alla comicità burina, senza vergogna, senza pretese, ma con un’identità precisa.
Oggi siamo più poveri, ma anche più grati. Grati a chi ha saputo emozionarci con uno sguardo malinconico o con una battuta oscena. Grati a chi ha fatto del proprio talento una forma di resistenza al tempo.
Che riposino in pace, Lea e Alvaro, ciascuno nel proprio universo. E che quel buio della sala, che entrambi hanno abitato in modo così diverso, continui a custodire la loro presenza.