All'interno quattro: film dell'autore 'Delirium' (2002), 'Ipotesi per un delirio' (2005), 'Kristo segnaletico' (2005) e 'L'uomo nero' (2015). Il libretto allegato ha 36 pagine a colori e contiene una lunga intervista a Sciolè della Nativio che è autrice anche dell'introduzione. La prefazione è di Anna Battista mentre la postfazione è di Daniele Isabella. Ricco anche l'apparato fotografico fornito dall'Arkivio Sciolè con foto di Sciolè, Chiara Francesca Cirillo, Sara Pettinella, Michela Baldi, Anthony Stone, Fabiana Appicciafuoco. L'opera espone alcune delle opere più scure di Sciolè come il cult movie Delirium, girato alla Torre di Cerrano e recentemente recensito in di Repubblica. Il film è anche il primo del Ciclo Delirium con cui Sciolè incrocia lo sperimentale ed il cinema di genere. Parte della filmografia di Sciolè è distribuita in streaming dalla piattaforma Streeen!
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Estratti dal booklet
Sciolè parte dall’errore per indagare gli stadi marginali dell’io. Li porta in scena attraverso un lessico preciso, il suo, che diventa, dopo più di trent’anni, la propria estetica; riconosce, onestamente, la morte del sé sociale. Parla a tutti noi, attraverso un linguaggio disarticolato. Un linguaggio ellittico, dove le omissioni, drammaturgicamente strutturate, accolgono contesti di anti-senso, ipotesi narrative. Una scrittura autoreferenziale che non esiste all’infuori dell’azione “Sciolè”. Fuori dalla scena (la vita) l’attore non esiste, non esiste l’uomo; come nel suo anti-cinema, si approda al collasso del processo ancestrale di identificazione dello spettatore, che non può più esaudire l’esigenza narrativa, attraverso la forma sequenziale, ma diventa parte del linguaggio lirico.
Daniela Nativio (dall'introduzione)
La “recitazione inceppata” di Sciolè si pone come un’antitesi della lingua-technis, è una forma di anti-comunicazione non binaria che sfugge alla comprensione dell’Intelligenza Artificiale convenzionale. Sciolè scompone il linguaggio stesso, creando un sistema espressivo tanto frammentato e irregolare da risultare un enigma persino per gli algoritmi più avanzati. E anche se l’IA riuscisse a decifrarlo e riprodurlo (dopotutto, quando ho scritto questa introduzione, l’IA era già in grado di generare esempi di racconti e fiction straordinariamente coerenti), non potrebbe mai replicare le torsioni vocali di Sciolè con la stessa intensità e intenzione. Se la lingua-technis è il linguaggio delle macchine cheraggiungono la divinità, allora quello di Sciolè è il Calvario della Comunicazione, il martirio della coerenza di fronte alla logica meccanica. La sua sintassi spezzata rifiuta l’ottimizzazione, resiste all’analisi e rimane irriducibilmente umana. È un frammento di anti-arte, un urlo cifrato nel rumore bianco dell’ordine digitale.
Anna Battista (dalla prefazione: Sacred Tech: Il Calvario Digitale di FlAvIo Sciolè)
La maggior parte delle persone su questo pianeta, dal 1895 in poi, si sono convinte che un qualsiasi filmato oppure il filmare di oggi, anche del web, sia un fatto esclusivamente narrativo, senza possibilità di discussione. Anche il discorso anti-narrazione viene relegato ad una nicchia di ragazzacci geniali, che hanno però vissuto in un certo contesto storico (Godard, Jarman). Sciolè è ancora un’altra cosa rispetto a quest’ultimi. Il suo è un cinema di poesia. Ogni sua inquadratura è come un verso, e andare a capo, si sa, è sempre doloroso. Dentro il suo cinema c’è la messa in scena continua della tragedia della vita, ma anche la parodia della tragedia stessa. A mio parere la sua opera va paragonata ai film di Herzog, al teatro di Carmelo Bene, ad Euripide, ma anche a Cervantes. Insomma, certi classici.
Daniele Isabella (dalla postfazione: ‘FS: Postfazione surreale’)
Estratto dall'intervista di Daniela Nativio
D.N. Il cinema, a differenza degli altri linguaggi che utilizzi, è un’azione performativa autoreferenziale. L’attore/persona appare in modo assoluto e dominante.
F.S. È un autoreferenziale conscio non inconscio. Mi interessa restituire l’Uomo e la sua complessità e questa centralità credo venga fuori. Specie nel primo piano posso divagare su tratti-tic-deformazioni-patologie che sono riconoscibili da chiunque. Il pp non è una parentesi, se lo scelgo in un film poi posso restare lì tutto il tempo. Lo stesso accade se scelgo di utilizzare la figura intera con cui mi interessa sviluppare posture, camminate, ipotesi attoriali. Nel mio anticinema la derivazione teatrale e performativa è evidente e voluta, cerco comunque di usare meno l’enfasi che può esserci dal vivo dato che il mezzo è diverso. Nei video firmati Teatro Ateo utilizzo gli apparati creati nell’antiteatro ma applico solo quelli che mi occorrono. Quando inserisco la performance cerco di capire in che misura mi serve rispetto all’antiattorialità. Naturalmente non è tutto così scientifico, io non lavoro mai con una sceneggiatura ma con elenchi, bozze, frasi spezzate, visioni, accumulo di materiali. La mia è un’arte suicidata ed in quanto tale riflette su se stessa, non ha vie d’uscita. Anche il confine tra teatro, performance e cinema è molto labile. Può capitare di partire da un progetto teatrale che in corso d’opera si trasforma in anticinema e viceversa; oppure una poesia farà nascere una performance o addirittura una performance può diventare un’istallazione. La contaminazione tra i generi (che conosco) mi interessa e la attuo continuamente ma in maniera naturale, non creo in funzione di o per. Non penso mai al fruitore ultimo ma casomai al primo, che sarei io. In questo sono estremamente autoreferenziale, per tornare alla tua domanda, anche se si tratta di un creare che poi viene mostrato, esposto. C’è quindi un successivo confronto-incontro, anche se avviene quando l’opera (per me) è già morta: io sto già pensando alla successiva, alla prossima.Vedo il cinema come una sorta di scatola magica-gabbia all’interno della quale i miei antipersonaggi si muovono in pieno delirio inconsapevoli della loro prigionia. Nel cinema si è codificato tutto dopo pochi anni dalla sua nascita, creando delle regole e dandole per scontate mentre nel teatro ci sono voluti millenni per definire modi e tempi. Ecco a me interessa un altro sguardo, e parlo proprio di sguardo, la mia camera agisce come l’occhio umano che guarda in diversi punti velocemente o che resta per ore a rimirare il cielo. Anche l’uso arbitrario dello zoom (mutuato dal b-movie) non l’ho mai visto come un errore, così come la messa a fuoco automatica che ci fa passare da una fase onirica alla realtà in maniera arbitraria, senza una precedente definizione.
Flavio Sciolè (1970) Sin dai primi anni Novanta sperimenta la scomposizione del linguaggio rispetto a cinema, teatro, performance, poesia. La sua è un’arte degenerata e borderline. Si forma al Laboratorio Delle Arti Sceniche e dopo aver lavorato con il Teatro Stabile Abruzzese fonda Teatro Ateo con cui scardina la scena del teatro di ricerca. Codifica la ‘Recitazione inceppata’ che diviene il suo manifesto. Come regista ed interprete di oltre trecento corti, mediometraggi e film, tutti di natura sperimentale, partecipa a migliaia di festival cinematografici ed è proiettato in decine di musei e gallerie (Pesaro Film Festival, Rai Uno, 52a Esposizione Internazionale D’Arte La Biennale di Venezia), in oltre trenta paesi nel mondo. Riceve retrospettive in Italia (Romaeuropa, Macro Roma) ed all’estero (tra cui: New York, Londra, Casablanca). Ha pubblicato cinque volumi dedicati alle sue opere teatrali (tradotte anche all’estero). Come performer partecipa ad eventi internazionali in Italia ed all’estero (tra questi Untouchable a cura di Franko B). Sue poesie sono presenti in decine di antologie fin dagli anni Ottanta, tre le raccolte pubblicate. Di lui si sono occupate testate giornalistiche (quali: Ansa, Adnkronos, Aise, 9colonne, Rai, Repubblica), siti e riviste specializzate come Nocturno, Cinecritica, Segno Cinema, Cinemaitaliano.info e Sentieri Selvaggi. Come attore di cinema ha recitato da protagonista in decine di film e corti, tra gli altri: Farina Stamen di Luigi Maria Perotti (il primo iperfilm). Ha curato festival di cinema ed eventi d’arte.
Daniela Nativio, vive e lavora a Pescara come insegnante nella scuola primaria. Nel 2009 si laurea presso l’Università degli studi dell’Aquila in Lettere Moderne con una tesi in Storia del teatro e dello spettacolo, relatore professore Ferdinando Taviani. Negli anni ha collaborato con diverse riviste online specializzate in cinema di genere come Bizzarro Cinema; ha curato mostre ed eventi culturali tra Lanciano (CH) e Pescara.
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