Lunedì, 29 Marzo 2021 16:51

Spegni la luce. Ai nostri figli d’amare sempre! Ultima parte

Scritto da Silvio Madonna
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L'ultima parte di un romanzo inedito di Silvio Madonna. La dedica dell'autore è molto significativa: Ai nostri figli d’amare sempre!

Spegni la luce. La prima parte del romanzo inedito di Silvio Madonna - Zaffiro Magazine Giornale Online

Come stabilito

 

Scesero al mare, quel caldo lunedì di fine luglio, senza problemi.

I due giorni di rottura li avevano rilassati e quel ritrovarsi veniva accolto come un fatto positivo.

Chiara e Giorgia, davanti, chiacchierarono per tutto il viaggio delle spese da fare, del dentista, e di come trascorrere l’imminente mese di agosto, il più critico di ogni estate romana.

Gino e Andrea blindati in se stessi ad assorbire i compact dal walkman e a pennellare stucchevoli commenti da machi sulle ragazze incrociate per strada.

La sera avrebbero dormito, visto che ripensamenti non erano emersi, come la settimana precedente: le ragazze nella camera grande, i ragazzi in soggiorno sui divani.

Chiara non stava nella pelle: lo nascondeva ma si sentiva agitata!

Era la più grande del gruppo: aveva una preparazione specifica riguardo alla psiche, sapeva nei dettagli cosa fosse accaduto e perché, coglieva forte in se stessa la responsabilità per quello che suo fratello aveva subito in passato.

Quella sera propose di andare presto a dormire per cimentarsi al mattino in un giro in barca alle prime luci del sole: un po’ per la stanchezza del viaggio, un po’ perché allettati da quell’idea così diversa, andarono volentieri a cambiarsi per poi coricarsi.

Chiara chiuse la porta della sua stanza e invitò Giorgia ad ascoltarla: cominciò a raccontarle di se, del fatto che non avesse una relazione stabile, che non si era mai veramente sentita innamorata, e che per lei e Andrea, per un breve periodo, aveva provato anche un pizzico d’invidia.

Giorgia aveva sonno da vendere ma quell’aprirsi lo fece svanire: continuarono per ore in quell’epurazione mentale.

Parlarono esclusivamente a se stesse: un outing primitivo, confuso, discontinuo, eppure esaustivo più di quanto, con un botta e risposta, sarebbero riuscite a fare.

Chiara capì quanto Giorgia fosse ancora legata ad Andrea, come avrebbe voluto ricongiungere quel filo che si era spezzato per quella scenata, e che era arrivato il momento di chiederle aiuto, forse unica a poterlo offrire con successo.

Era quasi l’una di notte quando le chiese un break per andare in bagno: silenziosa uscì dalla stanza.

I divani in soggiorno già abbandonati, la cameretta pervasa da una debole luce e la porta socchiusa quel tanto da poter sentire e vedere quanto già vissuto.

Li colse abbracciati sul letto, non a baciarsi o a farsi dell’altro, ma con le mani strette a parlarsi a voce bassissima.

Strategia comune

 

Il silenzio di Giorgia fu assordante.

Al buio, sul materasso supina, con le mani strette dietro alla nuca, le gambe rigide e gli occhi sbarrati a bucare il soffitto: il respiro quasi assente, solo un debole sibilo.

Chiara aspettò un po’ prima di chiederle se aveva voglia di ascoltarla: scostò la persiana lasciando filtrare aria salmastra e scampoli di un riverbero lunare che le tratteggiava pallide e spiritate.

Scorse così i suoi occhi lucidi: non stava piangendo, solo soffrendo.

Per Andrea e per suo fratello.

Le bisbigliò di calmarsi, che occorreva non nascondere la testa o lasciarsi andare ad una reazione scomposta quanto inutile!

Con quella dolce fermezza esordì in quel monologo che si era mentalmente preparata, e che arricchì, strada facendo, di particolari che solo il volto di chi aveva davanti stimolava nel far emergere.

Non le nascose nulla, calcando la mano sul suo rimorso sempre vivo, su quanto si sentisse profondamente in colpa: le confidò a mani giunte di come ci contasse su un suo indispensabile sostegno.

Per tutta la notte scavarono a fondo in se stesse cogliendo nel loro animo non il desiderio di voler a tutti i costi rimettere le cose a posto, anche per gli altri, ma solo la voglia, incontenibile, di poter essere positive.

Ormai albeggiava sul mare disteso e invitante: il sonno svanito portandosi via ogni stanchezza.

Il gozzo

 

Assai presto per le loro abitudini le ragazze si fecero trovare già in piedi e con i volti aggraziati da un trucco leggero per ammorbidire quella notte travagliata.

Consumarono un’abbondante colazione, infarcirono i panini per il pranzo stipandoli con le bevande ed il caffè nei borsoni, e si avviarono al porticciolo per salpare con quella barca che avevano prenotato al loro arrivo per telefono.

Un gozzo: un tempo a vela, ora a motore.

Lento, rumoroso, ma facile da governare anche per chi non aveva alcuna esperienza.

Non è che avrebbero dovuto fare chissà cosa: avventurarsi in mare per circa un miglio, gettare l’ancora, concedersi vari tuffi, prendere il sole, forse pescare qualcosa e riposarsi.

Per poi al tramonto rientrare e correre a dormire cotti come sarebbero stati da tutto quel sole, da tutto quel sale!

Le ragazze sapevano che un’occasione come quella, loro quattro da soli, non sarebbe mai più capitata e che al rientro, comunque fosse andata, si sarebbero sentiti più grandi, più maturi!

Chiara, non appena fu calata la minuscola ancora arrugginita, colpì a freddo: sfilò gli occhiali, puntò il fratello, quindi Gino, per poi chiedere conto al primo, e di riflesso anche all’altro, il perché di quella notte e di quell’altra ancora.

Una pausa studiata e la bordata tagliente: allora… ne vogliamo parlare una buona volta si o no?

Ammiccò a Giorgia di restare in silenzio come già stabilito e si mise comodamente seduta sul fondo della barca al suo fianco, in pareo, in attesa che il sole si facesse più caldo e la potesse ulteriormente abbronzare.

Così si accese quello strano duello, in mare aperto e sotto una calura crescente, con le ragazze disposte a sentire, forse a capire, e i ragazzi costretti a parlare, forse a spiegare.

Andrea, dopo il primo sconcerto, scoppiò a piangere per la vergogna di essere stato scoperto e sputtanato davanti a Giorgia.

Fu Gino, in suo soccorso, a dire la sua, che era anche la loro: con razionalità, da buon ragioniere, rivelò che erano anni che lui era consapevole di essere gay.

E che se lo aveva sempre taciuto era solo per evitare che i suoi genitori, non riuscendo ad accettarlo, ne soffrissero: e anche per sua sorella sicuro oggetto di insinuazioni pesanti che l’avrebbero di certo ferita.

La fissò fiero per sincerarsi che fosse convinta che non stava bluffando e proseguì.

Andrea riprese…

 

Andrea intese che era giunto il suo momento e che quella croce andava condivisa con Gino.

Si rivolse a Giorgia, alla quale prese la mano e che lei strinse con dolcezza per dargli coraggio.

Dopo quella sfuriata che lo costrinse a dormire sul divano ebbe modo di aprirsi con Gino, finendo per confessargli quanto non aveva mai trovato la forza di raccontare a nessuno, e cioè di quelle torture, perché come tali le viveva, sessuali e psicologiche che erano riuscite a deviargli la crescita, a renderlo intrattabile, a farne un oggetto.

Quel subire e non potersi ritrarre!

Strinse forte la mano di Giorgia: se non fosse stato per quell’amore scoperto con lei per la prima volta non si sarebbe mai ripreso da quelle attenzioni sofferte.

E offrendo a Gino quel suo privato così inconfessabile gli consentì di aprirsi con quel segreto che lui faceva sempre più fatica a custodire.

Fu quella solidarietà profonda che li spinse con naturalezza ad abbracciarsi, a baciarsi: quasi che così facendo, pur nelle loro diversità, avvertissero una sicurezza maggiore.

Andrea abbassò la voce nel rimarcare che lui non era un omosessuale, ma che dopo aver raccontato quello che aveva subito e ascoltato quanto fosse per lui doloroso doversi nascondere e fingere di essere normale, percepì qualcosa a livello fisico che lo portò a quel contatto intimo a cui sua sorella aveva fatto riferimento.

Un qualcosa che non avrebbe mai immaginato, ma che non lo aveva disturbato e di cui, sembrava strano anche a lui doverlo ammettere, non provava vergogna.

Allargò le braccia: capiva di essere stato contorto, ma era certo che quella sua confusione mentale ed ormonale meglio di così non poteva rappresentarla.

E aprendole sfilò la mano da quella di Giorgia, quasi il segno tangibile di una rottura tra loro non più sanabile.

L’altra metà del cielo

 

La mattinata poteva dirsi conclusa e con essa quei lunghi monologhi sofferenti: ora toccava alle ragazze intervenire per dare un senso compiuto a quelle ore e non farne solo un inutile tormento fine a se stesso.

Chiara, impacciata, chiese se volessero mangiare qualcosa prima di riprendere a spiegare e spiegarsi: fu sommersa da un deciso coro di no!

Fu netta nel suo esprimersi: precisò che si era accorta delle loro effusioni solo perché avevano lasciato accesa la luce e socchiusa la porta.

Di sbirciare non riuscì a farne a meno: restando, lo ammise con fatica, oltre il dovuto.

Avrebbe potuto sin dalla prima occhiata irrompere, avviare una scenata, fingere una crisi di nervi…

E invece preferì restare a spiare e, cosa per lei inspiegabile, persino a provare piacere.

Lo ribadì più volte a voce alta quasi che volesse sentirsi: a provare un piacere fisico, ormonale, diverso dagli altri ma molto intenso, forse perché intuitivamente trasgressivo.

Se non ci fosse stata Giorgia di mezzo avrebbe fatto finta di niente: ma lei c’era, eccome, e così avvertì il bisogno di parlarne con suo padre.

Per arrivare a conoscere da lui quella storia orrenda di vessazioni imposte al suo fratellino.

Lo urlò in mare aperto con gli occhi accesi dall’odio e agitando i pugni al cielo: accusava la colpa e la responsabilità di tutto quello che era accaduto, che stava accadendo.

Era la più grande, le amiche erano le sue, i danni biologici una conseguenza di quelle scelte sbagliate!

Sull’onda emotiva non più gestibile avrebbe voluto aggiungere altro, chiedere scusa perché era lei che doveva essere perdonata da loro, ma Giorgia, serafica, impose la sua presenza.

Lascia che dica

 

Chiara non avrebbe voluto che si esponesse: tra tutti era quella che aveva maggiormente incassato.

Dal suo ragazzo, dal fratello, da lei che le aveva spiattellato una realtà così cruda da fare piegare in due anche una donna matura.

Ma Giorgia non volle sentire ragioni e con distacco, un apparente distacco, cominciò a dire cosa pensasse di quel presente e di quel passato!

Spaziò sulla sua vita, sull’amore che provava per Anita, della simpatia per Dragan che aveva scoperto essere stato amante fuggevole di suo fratello, di quanto a quest’ultimo volesse bene e continuasse a volergliene, del suo rapporto vitale maturato con Chiara, la sorella che avrebbe sognato di avere, e di Andrea, di come lo aveva conosciuto, di come si fossero sentiti attratti sin dall’inizio per poi naturalmente innamorarsi.

Lo guardò facendolo struggere confermandogli di amarlo ancora: anzi, dopo tutto quello che aveva sentito, ancora più di prima, profondamente.

E non per pietà, o per quelle sue sofferenze subite e nascoste, ma per rinnovata convinzione: quello scoprirlo solidale con suo fratello anche se nel modo sbagliato le aveva dato la certezza che fosse una persona speciale, da non perdere, da trattenere con forza.

Era certa che non fosse un omosessuale per come lo sentiva in sè nei momenti d’intimità, così come lo era da quel momento che lo fosse suo fratello.

Non considerava una viziosa Chiara, anche se si era fermata a guardare quella scena d’amore e di sesso arrivando persino a sentirsi eccitata per quanto coinvolta.

E non si sentiva una pazza nell’affermare ancora di più, in quella mescolanza di sensazioni sconvolgenti ed irrazionali quanto dolci ed infinitamente umane, che quello che avvertiva per Andrea era amore, e di quello con la A maiuscola.

L’ascoltarono nel più profondo silenzio rimanendo appesi per lunghi istanti a quelle pause con cui, nei passaggi gravosi, era solita condire il suo introverso pensiero.

Sembrava che avesse dato tutto di se e poi qualcosa ancora regalava, non per arrivare ad una conclusione che non voleva ci fosse ma per rafforzare la positività di quelle ore passate insieme a togliersi i macigni dallo stomaco e a trovare la forza per ripartire.

Fu Andrea, ispirato, a sigillare quella contagiosa catarsi.

Il gruppo si scioglie

 

Quell’ardita metafora sulla luce da spegnere aveva colpito nel segno: un chiaro invito a riprendere, dopo quell’analisi senza sconti della propria vita, cautamente ad avanzare sulla propria strada.

A cena fu naturale accogliere la proposta di Chiara: la vacanza si concludeva in anticipo e la mattina successiva sarebbero rientrati a Roma.

E se spiegazioni fossero state chieste, nessun problema, la verità!

Quella soluzione maturata li rese di colpo più liberi, portandoli, dopo giorni trascorsi a guardarsi solo di striscio, a sorridere, a credere che a tutto, se si vuole, c’è sempre un rimedio.

In città, ai genitori che non li aspettavano, ebbero il loro da fare a spiegare il perché di quell’improvviso rientro: ognuno a seconda del proprio stato d’animo.

Ma senza per questo caricare di responsabilità, o di colpe, i propri compagni: come in passato per comodità avrebbero fatto senza troppo pensarci.

Gino, consigliato da Giorgia, accettò di rimandare con i suoi il momento di esplicitare la sua diversità: sbagliando di grosso avrebbero potuto pensare che se ne fosse reso conto in quel frangente solo perché plagiato da Andrea, un bravo ragazzo ma assai stravagante.

Andrea e Chiara ripartirono per Villa Rosa con il padre e la madre per quel fine settimana: in quattro, dopo tanti anni che non lo facevano, per fare mare e parlarsi.

Il gruppo si era sciolto, ma non perso.

Ognuno come promesso stava facendo la sua parte, riprendendo a guardare con chiarezza quanto quella luce accecante sul proprio vissuto aveva mostrato sino quasi ad accecarli.

E mentre si parla

 

Andrea fu piacevolmente sorpreso da come i suoi affrontarono la vicenda e da parte sua si spese totalmente per tranquillizzare Chiara: le ribadì sino alla nausea che non doveva sentirsi in colpa per quelle sue amiche a cui aveva dato fiducia ed ospitalità.

Se avesse voluto avrebbe benissimo potuto fermarle: se non lo fece, arrivò ad ammetterlo ma senza troppa convinzione, era perché quel sentirsi desiderato gli procurava piacere, anche se poi avvertiva che era solo un gioco perverso.

Parlarono ore e ore per il gusto di poter sentire le proprie voci, per il piacere di potersi dedicare del tempo, per il dovere di provare a capirsi.

Sua madre gli domandò come sarebbe andata a finire la sua storia con Giorgia, e come costei avesse preso l’omosessualità del fratello.

Lui scosse la testa perplesso: si augurò solo che potesse tornare a sentire quanto lui l’amasse anche più di prima.

Occorreva del tempo per ripartire da quel buio preteso.

Gino parte, Chiara anche

 

Settembre si presentò puntuale con i primi assaggi di un autunno che già voleva dire la sua.

I quattro si videro volutamente poco in quel mese: piuttosto fecero un uso massiccio del vecchio telefono, quello di casa con il filo, da padroneggiare in poltrona senza l’assillo della pila che scema o della ricarica che ti ruba il pensiero.

Giorgia informò Andrea che a giorni suo fratello sarebbe partito per quel servizio civile atteso da mesi: in una organizzazione non governativa operante in Uganda avrebbe lavorato nel gestire gli aiuti internazionali.

Poi tornerà, forse no, ma questo deve rimanere un segreto… gli raccomandò a voce bassa: nessuno avrebbe dovuto saperlo, tanto meno i suoi genitori.

E Andrea le confidò che anche Chiara avrebbe lasciato Roma: per recarsi per un lungo periodo di formazione linguistica in America, in un college, dove con una meritata borsa di studio conquistata si sarebbe ulteriormente formata.

E sempre così, via filo, si ritrovarono a chiedersi se una sera sarebbero voluti uscire insieme per una pizza, senza impegno, in amicizia: per farlo solo poche ore più tardi.

Dalla finestra…

 

Se lo concessero all’unica condizione che fu dettata da Giorgia.

Avrebbero abbassato il telefono e si sarebbero infilati nelle loro stanze, al quarto piano di due stabili che si affacciavano, anche se su livelli lievemente diversi, sulla stessa strada, via Animuccia, del quartiere Africano.

Avrebbero acceso la luce alle loro spalle e si sarebbero guardati da dietro ai vetri, senza un motivo, forse cercandolo.

Andrea trovò quell’idea molto intensa: se non fosse stato per quel suo averla di nascosto spiata tutto quello che poi era accaduto non sarebbe mai avvenuto.

E anche Chiara se non avesse considerato quella porta socchiusa da cui debordava una luce fioca un varco a cui rubare qualcosa non avrebbe permesso quella maturazione che tutti avevano fatto propria.

Quel riposizionarsi nel presente era la prova provata che la metafora della luce che si spegne, e che cessando consentiva di ripartire da zero con lo sguardo non più provato da quanto visto, era giusta.

I due ragazzi, con quasi un anno in più di vita vissuta, si ritrovarono così a divorarsi con gli occhi: alitarono sui vetri, li appannarono, e con la punta del dito si chiesero i loro nomi, la loro età…

Si scambiarono persino i numeri dei loro cellulari sino a che Giorgia marcò il segno, vistoso, di una freccia rivolta verso il basso, a cui Andrea replicò con un punto interrogativo, di rimando seguito da sole tre lettere: ORA.

Poi la ragazza scappò via spegnendo la luce.

Andrea capì e correndo scese in strada, dove la freccia indicava.

Nessuno seppe mai se arrivò prima di lei o se la trovò ad attenderlo capace, come sa fare ogni donna, di arrivare sempre per prima.

Nessuno seppe mai se quella sera gustarono una pizza o oziarono al parco, seduti su una panchina a stringersi le mani, a sentire tra le dita quegli anelli che non si erano mai voluti togliere, approfittando del tramonto per potersi baciare.

Nessuno seppe mai se Sam in quel trambusto sventolò un orecchio permettendosi un guaito soffiato di solo piacere…

Nessuno seppe mai nulla, nessuno se lo domandò.

Quella luce che tanto volevano riprese a spianare la loro strada, la loro vita.

In silenzio si giurarono per sempre!

Ai nostri figli d’amare sempre!

FINE

Ultima modifica il Lunedì, 29 Marzo 2021 17:57