Martedì, 30 Marzo 2021 10:50

La voce degli angeli

Scritto da Marco Battista

Incontro con il fantastico di Marco Battista

Pescara, 23 novembre 2013

Arrivo a Roma sabato mattina, ritiro il premio e domenica sera sono di nuovo a casa: ecco il mio programma per quel fine settimana.

Mi chiamo Giano, ho quasi cinquant’anni e da qualche anno mi è scatenata la passione per la scrittura. Ho partecipato al mio primo concorso letterario per mettermi alla prova e manco a dirlo, il mio racconto si è classificato al terzo posto. Non immagini la felicità quando l’organizzatrice mi ha telefonato per comunicarmi il risultato. Ho prenotato un albergo alla periferia di Roma e mi sono organizzato il trolley. Una volta arrivato mi soffermo a guardare la trascuratezza della facciata esterna, ma appena entro nella hall resto colpito dall’ambiente accogliente e dalla professionalità del personale. La mia camera è al quinto piano e dalla finestra, che dà luce a tutto il monolocale, godo di una bella vista sull’ampio giardino: meglio così, penso, mi affliggono gli spazi chiusi. Mi chiudo la porta alle spalle e mi avvolge uno strano silenzio al quale non sono più abituato ed è la prima volta da quando sono partito che mi sento davvero solo. Disfo il trolley e benché sia già ora di pranzo, mi concedo qualche attimo per rilassarmi. Controllo i messaggi sul cellulare e quando il mio stomaco comincia a brontolare, scendo al ristorante e mi concedo un generoso pranzo a buffet. Due ore dopo mi incammino verso la fermata dell’autobus per raggiungere il luogo della premiazione, ma una Punto rossa parcheggiata mi riporta indietro nel tempo. Apparteneva a Marisa, una ragazza dai lunghi capelli del colore dell’autunno e un sorriso dolcissimo. Il mio primo amore. L’arrivo dell’autobus mi riporta alla realtà. Scendo dopo qualche chilometro, e il mio viaggio alla scoperta di Roma incomincia da lì. Ma mi rendo conto che visitare Roma non è facile come pensavo. Non ho fatto i conti con le metro affollate e i bus perennemente in ritardo, imbottigliati nelle vie congestionate dal traffico.

Il giorno dopo mi sveglio presto e appena finisco di fare colazione ricomincio il mio giro per la città. Intanto si è fatta quasi l’ora di pranzo. Mi ricordo dell’appuntamento con Anna, un’arzilla signora di quasi settant’anni che ho conosciuto la scorsa estate durante una vacanza a Ischia. L’avevo chiamata qualche giorno prima per avvisarla del mio arrivo: ha tanto insistito per farmi restare a pranzo da lei che se avessi rifiutato ci sarebbe rimasta sicuramente male. Anna mi accoglie con un abito elegante e ciò che subito mi colpisce è l’ordine che regna in casa, oltre alla fornitissima libreria che spicca nel salotto. Dopo pranzo, la cucina si riempie di un delizioso aroma di caffè.

- Vieni Giano, lo beviamo nel salotto. - Trascorriamo qualche ora a parlare della mia famiglia e dei frammenti di vita che sono riuscito a catturare con la mia macchina fotografica nelle poche ore che ho avuto a disposizione per visitare la città.

- Roma a novembre è incredibilmente romantica! - dichiara Anna con un’espressione trasognata.

- È un peccato che tu non sia riuscito a vederla tutta! -

Mancano pochi minuti alle cinque del pomeriggio e fuori il termometro segna tre gradi. È soltanto novembre, il vento soffia di traverso e taglia la faccia. Attraverso l’ampio cortile condominiale zig-zagando fra vasi rotti e alcune sedie intorno a un tavolino consumato dalla ruggine. Anna è stata molto gentile a offrirsi di accompagnarmi, ma guidare per Roma non è semplice per nessuno, nemmeno per chi ci vive.

- Non preoccuparti, vedrai che arriveremo in tempo. - dice borbottando qualcosa contro il traffico. Cerco di contenere la mia preoccupazione, fingo di essere rilassato, ma il tempo scorre inesorabilmente. Controllo l’ora sul cellulare: il display segna le cinque e venti, e la possibilità di perdere il pullman si fa sempre più concreta. Siamo fermi al semaforo e dall’altra parte della strada intravedo la stazione, un’immensa struttura di cemento e luci.

Ore 17,28.

Siamo ancora fermi al semaforo, scendo al volo. Afferro il trolley che avevo caricato sul sedile posteriore e mi avvio di buon passo verso i pullman disposti in un ordine perfetto. Ce ne sono almeno una ventina, sparsi per tutto l’ampio parcheggio. Leggo velocemente il nome del pullman scritto sul biglietto, in questo modo il campo della mia ricerca si restringe notevolmente, ed esulto quando finalmente lo intravedo. Eccolo! Gioisce una voce dentro di me, ma quando mi avvicino mi rendo conto che non è il mio. La compagnia è la stessa, ma fa un altro giro.

Ore 17,30.

Colto dalla disperazione, ricorro all’ultima opportunità che mi rimane: mi avvicino a un autista e lo prego di aiutarmi. L’autista senza scomporsi mi guarda e mi risponde con un umorismo che non mi infastidisce.

- È questo qui dietro - indica con la mano - e se nun te sbrighi, riesci pure a perderlo! - Socchiudo gli occhi e scarico tutta la mia tensione, poi carico il trolley nel bagagliaio e salgo. Il cuore lentamente rallenta e il respiro si fa regolare. Be’, tutto è bene quel che finisce bene, penso fra me. Il pullman è quasi completamente occupato e i pochi posti ancora liberi sono sparsi alla rinfusa. Guardo sul biglietto il mio posto e intanto che cerco, mi viene da pensare a chi farò compagnia per le prossime tre ore. Immagino già di incappare nel tipo che per timore che il silenzio possa sembrargli scortese non smette un attimo di parlare. Se ci penso, mi sento già male! Raggiungo il mio posto e con disappunto scopro che è già occupato da una ragazza. Sono costernato e cerco di spiegarle che quel posto è mio, ma lei sfila dalla tasca del cappotto un biglietto sul quale è chiaramente indicato che il posto numero sedici è il suo. Sono sconfortato. Possibile che debbano ancora succedere queste cose? Sono in piedi sul corridoio senza sapere cosa fare, quando qualcuno dietro di me inizia a lamentarsi per il passaggio bloccato. Il posto accanto al finestrino è libero, lei si sposta e finisco per accettare il suo suggerimento di sedermi al suo fianco. Me ne sto seduto per conto mio, ma sempre più spesso mi ritrovo a spiarla con la coda dell’occhio. Il suo sguardo è chino sul cellulare, è chiaro che non ha nessuna voglia di conversare. Mi piacerebbe ringraziarla e scusarmi per il disagio che le ho causato, ma allo stesso tempo temo di dare l’idea di quello che vuole attaccare bottone a tutti i costi. Non voglio essere il compagno di viaggio invadente. Comunque decido di rischiare ed esordisco con il più banale degli argomenti.

- Sai, hanno detto che domani dovrebbe nevicare. - La ragazza ripone il cellulare nella borsetta e si volta a guardarmi. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio, i nostri gomiti si sfiorano e i suoi capelli emanano un delicato profumo di viole. Mi guarda e mi accorgo di quanto i suoi occhi siano profondi e improvvisamente il mio cuore sembra impazzito. Ha lo stesso, intenso sguardo di Marisa. Fortunatamente la penombra è mia alleata e nasconde il turbamento che avverto sulle guance. Mi chiede il motivo della mia visita a Roma. Le confesso la mia passione per la scrittura e le parlo del premio.

- È un racconto breve, ma non mi aspettavo che sarebbe stato premiato al mio primo concorso. -

- Dici davvero?! - esclama stupita. - Anch’io amo scrivere, ma poesie. - E mi sfodera un sorriso che ancora una volta mi scombussola. Di lei non so nemmeno il nome, ma so già che mi piace.

Anime che si trovano.

- Mi chiamo Alessandra. -

- E io sono Giano. - Da quel momento parliamo fitto fitto come se ci conoscessimo da sempre. Lei è di Chieti ma lavora a Roma, dove si è trasferita lo scorso anno. Torna nella sua città soltanto nei fine settimana. È impiegata in uno studio commerciale, ma vorrebbe tanto trovare qualcos’altro. Le racconto che sto tornando dalla mia famiglia, mentre lei nonostante abbia raggiunto la quarantina è ancora single. Nella sua voce avverto una punta di amarezza che però svanisce in fretta. Rimango un po’ meravigliato che una persona così sensibile e bella non abbia ancora trovato l’anima gemella. Mi assale la certezza che sia ancora tutto possibile. A un tratto sento squillare il mio cellulare. Alessandra si dimostra particolarmente curiosa per il mio telefono, un modello tutt’altro che nuovo.

- Non preoccuparti, ne ho uno anch’io così per lavoro. Ora te lo faccio vedere. - Rovista nella borsetta, ma un attimo dopo il suo volto si scurisce.

- È successo qualcosa? - le chiedo.

- Mamma mia! Credo di aver perso il cellulare. E adesso che faccio? C’era tutto il mio lavoro. - Si rammarica con le mani fra i capelli. Mi assale il desiderio di aiutarla, ma mi sento impotente. Ripercorre nella sua testa un itinerario immaginario e prende a formulare varie ipotesi. Infine, deduce che qualche balordo deve averglielo sfilato dalla borsa.

- Forse però, potrebbe esserti caduto qui sul pullman. - ipotizzo la prima cosa che mi viene in mente.

- Ma non credo. - la sua voce è affranta. - L’ho tenuto sempre qui dentro! - dice rovistando freneticamente le mani nella borsa.

- Che ti costa controllare? - la incoraggio. La ragazza esita, poi si china e allunga una mano ma si rialza quasi subito. Dall’espressione delusa capisco che la ricerca non ha avuto l’esito sperato.

- Controlla anche dall’altro lato, i cellulari sono così sottili che s’infilano dappertutto. -

- Ah, eccolo finalmente! - esulta portandoselo al petto. Ha gli occhi che le brillano per la gioia. Dio com’è bella! Mi sento come una foglia trasportata dal vento, incapace di resistere al suo fascino travolgente. Proprio io che credevo di essere un albero dalle radici ben piantate nel terreno. Credevo di non correre più alcun pericolo, invece Alessandra ha minato la mia serenità. Chi sei tu per farmi questo? Respiro a fondo e riordino le emozioni.

- Credi nel destino? - sussurro dolcemente. Lei mi guarda, ci pensa un po’ su.

- Una volta sì, ma ora... Il fatto è che a me non succede mai niente. - dice sospirando. - Alcune mie amiche hanno incontrato l’amore della loro vita nei posti più strani: alla fermata della metro, in fila alle poste... Una volta alla mia migliore amica è capitato d’incontrare il ragazzo della sua vita alle cinque del mattino. Era uscita per catturare il sorgere del sole e quando arrivò in cima, scoprì che un ragazzo aveva avuto la sua stessa idea. E pensare che doveva andarci il giorno prima. Hai presente il film “Sliding doors”? -

- Credo che le coincidenze siano messaggi inviati dagli Angeli. Ho letto molto a riguardo. -

- Davvero?! E cos’hai letto? - mi chiede sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

- Che le coincidenze sono spesso accompagnate da una sequenza di numeri. I numeri sono in grado di generare vibrazioni molto forti. L’universo intero funziona grazie a formule matematiche di assoluta precisione. Pensa alla musica, oppure ai computer: entrambi si basano su formule matematiche estremamente complesse e precise. E i messaggi degli Angeli sono altrettanto precisi, basta saperli cogliere e interpretare. - Alessandra mi ascolta affascinata.

- Sai, forse hai ragione. - dice guardandomi con una intensità nuova che ancora una volta fa impazzire il mio cuore. - Parlare con te mi ha fatto bene, mi sento già meglio. Forse era destino che avessimo entrambi lo stesso numero di posto... -

Nella mia mente già scorre l’intera scena al rallentatore: la vedo perdersi nel mio sguardo, socchiudere gli occhi, avvicinarsi al mio viso e baciarmi le labbra... Ma lo squillo del suo cellulare mi riporta alla realtà. Sbatte velocemente le palpebre e si scusa, poi si volta verso il finestrino. I minuti scorrono veloci. Incrociamo un cartello che ci indica che ci troviamo a Sulmona, nonostante fuori stia facendo buio e sia cominciato a piovere con una certa insistenza. Ormai il viaggio volge al termine.

- Appena a Sulmona! Dio, non arriviamo più! - Esclama Alessandra. Siamo già a Sulmona, mi lamento io. Ancora poco e le nostre strade si divideranno. Per sempre. Devo farmi venire in mente qualcosa per non perderci di vista. Ho un’idea. Scrivo su un foglietto il mio nome per essere rintracciato su facebook. Glielo consegno.

Dopo aver letto il biglietto, mi sorride e lo infila nella borsetta. Pochi minuti dopo, l’autista annuncia che ci troviamo nei pressi di Chieti scalo e un’espressione di tristezza scende sul mio viso. Alessandra si alza, indossa il cappotto, la sciarpa e si copre il capo con un elegante cappello che non trattiene i lunghi riccioli scuri.

- Allora ciao. - mi saluta, e nella sua espressione colgo una nota di malinconia. Prima che scenda e scompaia dalla mia vita, non resisto e tutto di un fiato le confesso che quando il pullman è partito non vedevo l’ora di arrivare, adesso invece mi dispiace che il nostro viaggio sia finito.

- Grazie, Giano. - Le stringo la mano e le sorrido timidamente per l’ultima volta. Con la fronte appoggiata al finestrino, la guardo andare via e in quello stesso istante avverto un senso di vuoto. Una finestra chiusa che non si aprirà più, ma non avrei mai più dimenticato i suoi occhi, né scordato la sua voce che mi ha accarezzato il cuore.

Pescara, 20.45

Presto farò rientro a casa. Ad attendermi ci sarà mia moglie Carla. Già, Carla: non ho più pensato a lei da quando i miei occhi hanno incrociato quelli di Alessandra. Nella tasca del pantalone ho ancora il biglietto del pullman, lo guardo di nuovo e solo allora mi accorgo che il numero della mia poltrona non era il sedici, ma il numero otto. Devo aver fatto confusione con il biglietto di andata. Come ho fatto a sbagliarmi? Penso a una distrazione, ma poi ripenso agli Angeli e al loro insolito modo di comunicare. Per tutta la notte dormo poco e male, mentre mia moglie respira pacificamente al mio fianco. È trascorso un mese da quell’incontro e non ho ancora smesso di pensare ad Alessandra. Ci sono dei momenti che si fissano per sempre nella mente e nel cuore. Anche adesso, mentre sto camminando per le strade della mia città, il suo ricordo è più che mai vivo. E ogni giorno mi siedo davanti al computer e apro la mia pagina facebook, ma niente, non c’è nessuna nuova richiesta di amicizia. Forse Alessandra non è riuscita a trovare il mio profilo, forse non ha avuto tempo, ma qualcosa mi suggerisce che non è così. Forse ho voluto illudermi che fosse ancora tutto possibile, invece la mia vita è tornata a scorrere come sempre, ma un po’ più vuota. Sento che dovrò rassegnarmi a non sentirla più, ma l’eco delle sue parole non mi abbandona. Conserverò per sempre i suoi dolci occhi neri e il suo sorriso luminoso. Mi guardo allo specchio e vedo che non sono più un ragazzino. Mi sono illuso che la vita mi potesse concedere un’altra possibilità, l’ultima occasione per sognare ancora, invece mi sbagliavo.

Ma se puoi, ricordati di me.

 

 

 

 

F I N E