Giovedì, 04 Marzo 2021 17:11

Tutto è bene quel che finisce bene - Seconda e ultima parte

Scritto da Marco Battista

 Incontro con il fantastico di Marco Battista

Tutto è bene quel che finisce bene - Prima parte - Zaffiro Magazine Giornale Online 

 

- Mi dici perché vuoi cancellare il passato? O meglio, perché vuoi averne uno nuovo? - Fausto si intristì di colpo. Non si aspettava quella domanda e in cuor suo sperava di non doverne parlare con nessuno, e di non dover ricordare più quella donna.

- Tutto cominciò quando frequentavo l’università. Ero giovane, poco più di un ventenne. Vivevo a Bologna quando persi i miei genitori in un incidente d’auto. Era autunno e tornavano da una giornata trascorsa all’aria aperta, una semplice scampagnata. I dottori dissero che mio padre fu colto da un colpo di sonno, perse il controllo dell’auto e si schiantò contro un albero. I mesi successivi furono i più tristi della mia vita. Avevo gli studi da portare avanti e senza i miei genitori, mi sembrava tutto troppo difficile. Inutile dire che la mia vita continuò con un costante senso di colpa. Mi ero persuaso che se mi fossi trovato con loro, forse adesso sarebbero ancora vivi. -

- E come potevi? Nel momento dell’incidente non ti trovavi a Bologna? - chiese il professore.

- In realtà quel fine settimana ero tornato a casa, ma avevo bisogno di stare un po’ con Claudia. L’avevo conosciuta all’università, ma anche lei era di qui e avevamo deciso di passare quel fine settimana insieme. Lei era dolce, comprensiva, ma soprattutto mi ascoltava. Finalmente uno sprazzo di luce dopo tante notti buie. Me ne innamorai, o perlomeno mi convinsi di amarla, forse perché sapevo di non farcela da solo a superare quel momento. Ma un giorno mi lasciò, un brutto giorno. Il peggiore di tutti. Mi scrisse tutto in una accorata lettera che aveva lasciato sul cuscino il giorno stesso che se ne andò. Senza dire una sola parola, solo quella maledetta lettera. Da allora non faccio altro che sognarla tutte le notti, mentre la uccido con coltello piantato nel ventre. Ogni maledetta notte lo stesso maledettissimo incubo mi perseguita. -

- Allora è stata una fortuna che ti ho incontrato. - Fausto smise di piagnucolare e lo guardò come si guarderebbe un angelo soccorritore.

- Aiutami, professore, ti prego. Sono disperato, non so più che fare, né dove andare. Sono nelle tue mani. -

- E sia. Ti aiuterò. - a Fausto s’illuminò il viso di nuova speranza.

- Togliti la giacca e la camicia e sdraiati sul lettino, intanto predispongo l’occorrente per l’operazione. Ti chiedo ancora una volta di mantenere il più assoluto riserbo su questo incontro: nemmeno una parola di quello che ti sarà fatto e che vedrai dovrà uscire dalla tua bocca. E poi, ci sarebbe un’altra cosa... -

- Cosa? - Fausto lo guardava sorpreso. Pensava che a quel punto avessero detto tutto.

- Sei davvero sicuro di volerlo fare? Perché, vedi, se non sei veramente convinto, questo è il momento di dirlo. - Fausto serrò le mascelle.

- Mai stato più convinto. -

Il professore sorrise soddisfatto e spense la luce, lasciando accesa solo la lampada centrale che emetteva una potente luce bianca.

- Bene. Pensa che fra qualche minuto sarai un uomo nuovo. Ah, un’ultima cosa; non avrai modo di capire in anticipo quando ti si presenteranno i nuovi ricordi, potrebbe avvenire all’improvviso. È importante che tu li accetti senza spaventarti. - Fausto annuì. Per qualche istante i loro occhi furono l’uno lo specchio dell’altro, l’uno con il desiderio di tornare a condurre una vita normale, l’altro con la speranza che tutto filasse liscio. Non come l’ultima volta. Il professore rabbrividì. Un’altra paziente prima di lui si era lasciata convincere a sottoporsi alla stessa operazione, ma non era riuscita ad accettare il suo nuovo passato ed era impazzita. Girava armata convinta che qualcuno la volesse uccidere. Fu rinchiusa e dopo sei mesi di terapia con uno psichiatra per tentare di riprendersi da una fortissima depressione, si era suicidò. Incidente di percorso, aveva detto il professore.

- Professore, ti senti bene? - lo ridestò Fausto. L’uomo ebbe un sussulto.

- Sì, sì, certo, sto bene. - Il professore infilò i guanti e verificò un’ultima volta che tutte le apparecchiature funzionassero. Infilò l’ago nel braccio del suo paziente e intanto che l’anestesia faceva effetto indossò i binoculari chirurgici. Con quegli strani occhiali e la cicatrice sulla guancia, l’aspetto del professore era paurosamente minaccioso.

- Quando riaprirai gli occhi sarà tutto finito, i miei uomini ti porteranno a casa e ti infileranno nel letto. L’anestesia che ti ho iniettato è abbastanza forte da farti dormire per molte ore, e al tuo risveglio avrai nuovi ricordi e un nuovo passato. Sei contento? - il professore sfoggiò un sorriso rassicurante.

Fausto ascoltò nitidamente le prime parole, poi soltanto un’eco soffocata. La voce del professore si faceva sempre più lontana, fino a scomparire del tutto.

24 ore dopo.

Una flebile voce profanò il silenzio della notte. Fausto si rigirò nel letto, in uno stato di piacevole dormiveglia. Sbatté le palpebre, allungò un braccio e accese la lampada sul comodino. Guardò la sveglia, era notte fonda. Istintivamente si portò una mano al petto e un dolore sottile lo colse di sorpresa. Il professore aveva ragione, aveva dormito molte ore e senza nemmeno un incubo. Avrebbe dovuto essere felice, fare i salti di gioia, se non fosse per quella voce. Lui viveva solo, a chi poteva appartenere quella voce di donna? A tua moglie, ti sei forse scordato che sei sposato da due anni ormai? Una voce nella sua testa gli suggerì la risposta.

- Sposato?! Ma io non sono sposato. - Replicò infastidito.

Certo, non più, dopo che l’hai uccisa.

- Sta zitto. Zitto. -

-Invece parlo quanto mi pare.

- Maledetto - ripeteva prendendosi a pugni la testa. - Ho dovuto farlo, mi tradiva e tu lo sapevi. -

Non è vero, lei voleva andarsene perché tu eri geloso, così geloso che non la lasciavi nemmeno uscire per fare la spesa.

- Mi faceva imbestialire. -

Era una puttana e tu l’hai uccisa perché ti tradiva con tutti.

- Basta. Ti prego, basta... lasciami stare... - Fausto si rannicchiò su se stesso piagnucolando, confuso e in lacrime. A fatica si calmò, si asciugò il viso e continuò a girare per casa. Ma dopo aver perlustrato tutto l’appartamento, dovette ricredersi. Si rese conto che aveva cercato qualcosa che non esisteva, o che esisteva soltanto nella sua testa. Forse se l’era soltanto sognata. Sì, doveva essere andata così. Non l’aveva uccisa, se n’era andata lasciandolo solo e quella visione, molto probabilmente, non era altro che un desiderio represso. Lui non aveva mai smesso di amarla, nemmeno dopo quello che aveva fatto. Appena si rimise a letto udì chiaramente il cigolio dello sportello del frigorifero aprirsi come se qualcuno si volesse preparare la colazione.

- C’è qualcuno? - avrebbe voluto urlare, ma la voce gli si strozzò in gola. Si alzò di nuovo, infilò le pantofole e accese tutte le luci che lo separavano dalla in cucina. Era vuota. Già, vuota, come era normale che fosse: il frigo era chiuso e nessuno armeggiava con gli utensili. Si sentì uno stupido, eppure quella voce e quei rumori sembravano maledettamente reali... Non rimaneva che una spiegazione: o c’era davvero qualcuno in casa e se ne stava nascosto oppure stava impazzendo. Cercava di convincersi che l’immaginazione gli aveva giocato un brutto scherzo, ma non era così. Sapeva benissimo che i rumori in casa erano li aveva sentiti davvero. Intanto che rimuginava, era di nuovo tornato in camera sua. Quasi gli prese un colpo quando scoprì che anche l’altro lato del letto era in disordine. Si appoggiò con le spalle al muro e si passò le mani nei capelli ancora bagnati. - Ma che diavolo sta succedendo? - si chiese confuso e terrorizzato allo stesso tempo. Si vestì in fretta e spalancò tutte le finestre. Ripensò persino alle storie di fantasmi, povere anime che vagano per la casa terrorizzando chi vi abita. Anche se la sua ipotesi non aveva senso, poiché la sua era un’abitazione di nuova costruzione e non c’era possibilità che qualcuno vi avesse vissuto prima di allora. Aveva sperato di liberarsi di quei maledetti incubi, ma si era illuso. Sapeva che era troppo bello per essere vero. Lo colse una rabbia accecante per essersi fatto giocare da quello stronzo che si faceva chiamare professore. Imbroglione approfittatore, ecco cos’era. Ma ecco che in quel momento finalmente avvenne qualcosa. Nella sua testa si materializzarono confusi e in rapida successione visi e luoghi a lui sconosciuti, ma che tuttavia era consapevole di farne parte. Erano i suoi nuovi ricordi, frammenti di un nuovo passato, non doveva fare altro che riceverli senza spaventarsi. Il professore gliel’aveva anticipato prima di impiantargli il microchip. E forse avrebbe ricominciato una buona volta a vivere senza più brutti sogni. E il passato, nella mente di Fausto, tornò a farsi presente e più insistente che mai tracciando una strada diversa da quella che aveva percorso finora. Si fermò davanti allo specchio, avvicinò il viso e si osservò con attenzione. Cosa vedeva? Il riflesso rimandava l’immagine di un cinquantenne dal fisico ancora prestante e i capelli brizzolati sulle tempie lo rendevano ancor più affascinante. Ma non era il suo fisico a turbarlo, piuttosto era ciò che risiedeva nella sua testa. I suoi ricordi, il suo passato e il suo vissuto stavano cambiando troppo velocemente e temeva di non essere pronto. Aveva bisogno di più tempo. Da quando il professore lo aveva sottoposto all’operazione, Fausto avvertiva che in lui era in atto una trasformazione che lo avrebbe cambiato in modo radicale. Aveva dormito ininterrottamente per un giorno e una notte, ma sentiva il bisogno di accasciarsi di nuovo sul letto. Chiuse le finestre e si infilò sotto le coperte. Aveva lasciato la persiana spalancata e dalla finestra penetrava la luce argentea della luna che però non se ne curò. Era così stanco che chiuse immediatamente gli occhi. Improvvisamente avvertì uno strano profumo. Si alzò e quando uscì dalla camera, il profilo di un uomo iniziò a materializzarsi davanti a i suoi occhi. Se ne stava fermo a guardarlo, mentre con la mano gli chiedeva di avvicinarsi, ma Fausto non ebbe il coraggio di muovere nemmeno un dito. Richiuse frettolosamente la porta alle sue spalle e si rimise a letto sperando di dimenticare tutto e tornare a dormire, ma non riusciva a togliersi dalla testa quell’uomo nonostante continuasse ripetersi che non poteva essere vero, che era un altro scherzo della fantasia. Ma le persone nate dall’immaginazione non lasciano una scia di profumo dietro di sé. Si conosceva e sapeva che non avrebbe trovato pace finché non si fosse assicurato che quell’uomo era un altro effetto del suo nuovo passato, così si alzò e uscì di nuovo dalla sua camera. Forse aveva fatto male a farsi impiantare quel maledetto microchip, visto che un nuovo desiderio, sconosciuto e impellente, stava piano piano insinuandosi prepotente nella sua testa. Ed era ancora più sorpreso all’idea di finire fra le braccia di un uomo. No, doveva esserci uno sbaglio, non poteva essere vero. Sarebbe inorridito al solo pensiero di essere attratto da un uomo. Notò che da un tiretto fuoriusciva un ritaglio di calza a rete, con una foga incontrollabile svuotò il contenuto del tiretto, tutta una serie di mutandine e reggiseni di pizzo succinti e raffinati. Forse nella sua vita c’era stata davvero una donna. Si lasciò sfuggire un’imprecazione. Non riusciva più a distinguere il confine tra realtà e fantasia. Forse stava davvero impazzendo. In quel momento sentì suonare alla porta. Chi poteva essere a quell’ora di notte? Il cuore gli batteva come impazzito. Forse il professore venuto a vedere come stava? Senza far rumore si avvicinò alla porta e guardò attraverso lo spioncino: era un tipo sulla cinquantina imbacuccato nel suo giaccone pesante. A Fausto non sembrava di conoscerlo, ma forse anche lui faceva parte dei suoi nuovi ricordi. Decise di ignorarlo e vedere come si comportava. Il campanello suonò di nuovo e questa volta con più insistenza. Rimase fermo a pensare. Forse era stato mandato dal professore per chissà quale motivo. Aprì uno spicchio di porta.

- Chi è lei e cosa vuole? - L’uomo sorrise.

- Lei non mi conosce ma non abbia timore, sono qui per aiutarla. - In una circostanza diversa lo avrebbe mandato via, ma voleva vederci chiaro in tutta quella storia e poi aveva detto che voleva aiutarlo.

- Si può sapere cosa vuole da me? Se è qui per vendermi qualcosa se ne può anche andare. -

- Stia tranquillo, non voglio venderle niente. Be’, non esattamente. -

- Cosa vuol dire non esattamente? -

- Ne vogliamo parlare qui sulla porta? - Fausto ci pensò su un attimo, poi tolse la catenella e lo lasciò entrare.

- Allora, mi vuole dire una buona volta cosa vuole? - ripeté Fausto, che già cominciava a spazientirsi. L’uomo si sedette di fronte a lui con la schiena dritta e le mani sulle ginocchia, poi fece un bel respiro.

- Prima di tutto sappia che dopo questo incontro lei non mi vedrà più. Secondo, deve smettere di resistere. -

- Ma chi si crede di essere per venire a dirmi cosa devo fare? E poi, cos’è che dovrei fare? -

- Non ti scaldare. Guardati, hai l’aspetto di chi ha perso la partita con la realtà. Pensi davvero di aver fatto la cosa giusta? Cambiando il tuo passato è come aver ucciso tutte le persone che in qualche modo hanno avuto a che fare con te. Senza considerare che non potrai mai cancellare tutti i tuoi ricordi, nemmeno se lo volessi. Sono qui per costringerti a non dimenticare mai più nulla del tuo passato. Perché hai mai pensato cos’è un uomo senza il suo passato? Cosa resterebbe di noi se fossimo in grado di cancellare con un click tutti i fottutissimi giorni trascorsi? Nulla. Senza i ricordi, saremmo soltanto come tanti piccoli contenitori vuoti. Tu hai cancellato i ricordi e tutte le tue esperienze per averne dei nuovi pensando di aver ingannato il fato. Ma non hai fatto altro che ripetere l’errore. Non troverai mai pace in questo modo, finché non sarai troppo vecchio e ti maledirai per non avere più nessuno da incolpare per i tuoi fallimenti. -

Doveva essere stato mandato da quel ciarlatano del professore, anche se sembrava conoscere molto bene la sua situazione.

- Forse ha ragione lei, non so. Certo è che se continuo così finirò per impazzire. -

- Purtroppo non puoi più tornare indietro. Il tuo unico errore è di esserti nascosto all’ombra di te stesso. Ti lamenti per i tuoi incubi, ma non hai fatto nulla per evitarli. Hai creduto di eliminarli, senza considerare che non sono altro che la conseguenza dei tuoi sbagli. - Fausto non voleva guardarlo. Si sentiva vulnerabile e non era certo di riuscire a nascondere la mortificazione. Sapeva che avrebbe dovuto capirlo da se stesso.

- Ma se pensi che ormai non ci sia via d’uscita, sappi che non è così. Sei ancora in tempo, hai ancora la possibilità di salvarti dall’oblio, ma devi essere disposto a perdere qualcosa. Non puoi rinascere se non lasci morire qualcosa di te. Non siamo perfetti, Fausto, siamo fragili e pieno di difetti, ma sappiamo cambiare, devi solo crederci. -

- Dici davvero? - gli chiese Fausto con gli occhi di nuovo carichi di speranza.

- Sì. Puoi ancora farcela, sei ancora in tempo. -

- Cosa devo fare, ti prego aiutami. -

- Non potrai ritrovare la serenità se non imparerai ad accettarti per come sei, solo così saprai accettare anche lei. -

- Ma di che stai parlando. -

- Claudia ti amava, ma tu hai soffocato l’amore con la tua assurda gelosia. L’unica cosa che puoi fare adesso è... -

- Ho capito. - Chinò la testa. - Ma non so se ce la farò. -

- Dovrai farcela o la perderai, e questa volta per sempre. -

L’uomo incalzò.

- Prendimi per un pazzo uscito dal manicomio, se ti va. Oppure puoi considerarmi il tuo migliore amico, la voce della tua coscienza, quell’opportunità che viene una volta nella vita e vedrai che le cose cambieranno. - Dopodiché l’uomo gli volse le spalle e se ne andò. Fausto era rimasto fermo e lo osservava imbambolato. Gli aveva parlato come se lo avesse conosciuto da sempre. A pensarci bene, non gli aveva nemmeno chiesto come si chiamava. Si precipito alla porta col tentativo di richiamarlo, ma se n’era già andato. Si affacciò alla finestra sul cortile ma niente, di quell’uomo nessuna traccia, era come se non fosse mai stato lì. Si persuase che aveva immaginato di parlargli, come pure tutte le altre cose che gli erano capitate finora. Eppure gli sembrava di sentire ancora le sue parole riecheggiare nella testa, sempre più forti, finché divennero impossibili da sopportare e solo allora aprì gli occhi ansimando. Si ritrovò nel giardino dell’ospedale, ancora con la schiena appoggiata al grosso tiglio che campeggiava lungo la siepe dell’ampio giardino, mentre l’ambulanza si allontanava e con lei il fastidioso suono che gli rimbombava ancora nelle orecchie. Si era addormentato e aveva avuto un altro incubo. Emise un sospiro liberatorio. Si alzò e si diresse verso la macchina con ancora nella mente ancora le parole di... di... non sapeva nemmeno come chiamarlo. Poco importava, ma di certo non lo avrebbe mai più dimenticato. Fausto alzò gli occhi al cielo, considerando quanto fosse bella la sua vita. Sì, perché adesso sapeva cosa fare. Appena entrò in macchina prese il telefono, compose un numero, e mentre si passava una mano sugli occhi umidi cercava le parole più adatte da dire.

Gli incubi di Fausto si placarono fino a scomparire del tutto. Cominciò a costruire un nuovo sogno, a occhi aperti questa volta, un sogno meraviglioso insieme a Claudia. Insomma, il fato gli stava dando un’altra possibilità, e per citare Shakespeare...

“Tutto è bene quel che finisce bene.”

F I N E

Ultima modifica il Giovedì, 04 Marzo 2021 17:27