La "Banana" di Cattelan venduta. Un insulto all'arte e a noi giovani che vogliamo scommetterci.
Mentre in molte parti del mondo c’è chi lotta, ancora oggi, per garantirsi un pasto quotidiano, la “Banana” di Maurizio Cattelan, una banana da 30 centesimi affissa al muro con del nastro adesivo e venduta per 6,2 milioni di dollari viene celebrata come Arte Concettuale. Un gesto provocatorio che non solo insulta chi vive in condizioni di povertà, ma svilisce anche il significato stesso di arte, dimenticando il valore di tecnica, dedizione e studio.
È un’offesa agli artisti del passato e a tutti quei giovani che oggi investono passione e sacrificio per costruire un percorso creativo, trovandosi di fronte un sistema che premia la provocazione superficiale anziché la vera maestria. Che siano studenti di un Liceo Artistico o di un’Accademia di Belle Arti, o semplicemente autodidatti senza alcun titolo formale ma con anni di esperienza, verranno sottovalutati da un pensiero artistico sopravvalutato.
Pensiamo a Giovanna Garzoni, che nelle sue nature morte conferiva alla frutta un’aura di sacralità, o a Michelangelo Merisi (Caravaggio), che nei suoi dipinti trasformava la frutta in simbolo di vita, decadenza e fragilità, con un realismo che richiedeva anni di studio e pratica.
L’opera di Maurizio Cattelan non è altro che una provocazione: non contro il sistema, ma verso chi ancora crede che l’arte abbia bisogno di bravura e significato. Dice bene Vittorio Sgarbi: l’arte in questo caso è “un percorso che in qualche modo toglie materia all’opera e la fa diventare puro pensiero, una cosa mentale”. Ma questa smaterializzazione svuota il concetto stesso di arte e lancia un messaggio scoraggiante ai giovani artisti, che scommettono su se stessi per dare senso alla propria creatività, vedendo invece premiato il nulla fine a sé stesso.
Una banana da milioni di dollari che diventa simbolo di una cultura che ha perso il contatto con la realtà e con il vero valore dell’arte, che scambia il banale per genio creativo.
Salvo Di Noto,21 anni, alla ricerca del bene