Lunedì, 01 Febbraio 2021 19:01

Il patto, un racconto di Marco Battista.

Scritto da Marco Battista

 

Incontro con il fantastico.

Il cielo era sereno in quella fredda sera autunnale, ma niente in confronto al gelo che albergava nel cuore dell’uomo sprofondato nel sedile della sua auto. L’orologio sul cruscotto segnava le diciannove. Manuel era tornato a casa prima del solito, l’anniversario di matrimonio è un giorno speciale e aveva prenotato un tavolo in un ristorante lungo la costa. A Manuel piaceva ricoprire sua moglie di attenzioni.

- Ti piacerà, ha una stupenda vista sul mare. - le aveva anticipato al telefono.

- Grazie, amore mio, te ne sei ricordato. Sei l’uomo più premuroso e romantico che abbia mai conosciuto. -

L’uomo spense il motore e infilò i guanti.

- C’è un pensierino per te nell’armadio, perché intanto non lo indossi e vedi come ti sta? -

- Un vestito nuovo per me?! -

- È un giorno speciale. È nero, so che adori il nero. Troverai anche un paio di scarpe rosse, s’intoneranno ai tuoi splendidi capelli. -

- Sì, eccoli, li ho trovati. Dio... è un incanto. Chissà quanto ti è costato. -

- Mai abbastanza, per te. -

- Lei è un uomo incredibile, signor Manuel. -

- Lo sai che farei qualsiasi cosa per te. -

L’uomo si sporse in avanti e dal portaoggetti della sua Golf nera decapottabile tirò fuori un avanzo di fettuccia per tapparella e un rotolo di nastro isolante.

- Non ho mai amato nessuno come amo te, Manuel. -

- Anch’io ti amo, Patrizia. -

L’uomo infilò la fettuccia in tasca e sfilò un grosso coltello dal fodero. Restò a fissare la sua immagine riflessa nella lama, prima di riporlo nella custodia. Nessun ripensamento, nessuna incertezza. Niente. Alzò gli occhi sullo specchietto retrovisore. Aveva i capelli in ordine, la barba fatta, lo sguardo rassicurante. Tirò fuori la bottiglietta di cognac e ne tracannò alcuni sorsi. Da giorni si tormentava e si crogiolava nel suo dolore, concentrato in quell’unico, ossessionante pensiero che non lo abbandonava un solo istante. Si passò le mani grassocce sulla fronte unta e li lasciò scivolare fra i capelli, come a voler scacciare qualcosa che lo tormentava. Mai aveva sofferto in un modo così doloroso. O forse sì. Era successo tutto in un una sera come tante altre, una sera di un maledetto 23 dicembre di molti anni prima. I suoi genitori erano pronti per uscire quella sera, ma stavano litigando in salotto, davanti all’albero di Natale, e non si accorsero che il figlio di appena otto anni li stava guardando di nascosto.

- Sei uno stupido, un buono a nulla. Quando ti deciderai a crescere? - Marta, una donna dalla corporatura esile e una cascata di capelli color rame, indossava un vestito nero e un paio di scarpe rosse che il marito le aveva regalato per il loro anniversario.

- Marta, ti prego. -

- Sei stato tutto il giorno in giro a perdere tempo. Ti avevo dato la lista delle cose da comprare, ma tu hai speso gli ultimi soldi per questo stupido trenino. -

- A Manuel piace e si aspetta di trovarlo sotto l’albero. -

- La verità è che sei un fannullone ma ora basta, la mia pazienza è finita. -

- Ti prego Marta, il bambino... -

- Non preoccuparti più del bambino, a lui penserò io, sono stanca di mantenerti. Prendi le tue cose e vattene, non voglio più vederti. -

Il mattino dopo il piccolo Manuel scoprì il corpo di suo padre senza vita. Si era impiccato in salotto, con una fettuccia fissata al lampadario. Il tempo non servì a guarirlo dal dolore, che cresceva di giorno in giorno e ogni volta che si avvicinava quel maledetto 23 dicembre, si trasformava in angosciosa ossessione.

Patrizia era la donna che aveva sposato, una donna caritatevole, ma un patto è un patto e va rispettato. Doveva farlo per suo padre. Nascose il coltello nella tasca interna della giacca e aprì lo sportello.

Era consapevole di aver recitato una parte con lei e che non sarebbero mai andati a festeggiare il loro anniversario in quel ristorante che non aveva mai prenotato, ma faceva parte del piano. Ogni cosa faceva parte del piano. Scese dall’auto e attraversò la strada. Contò i passi. Pari. Erano sempre pari. Scivolò per i vicoli più stretti e più bui, dove c’era poca gente e se incontrava qualcuno o quando era costretto salutare un conoscente, rallentava il passo senza fermarsi. Aveva imparato a gestire le emozioni, non trapelava mai niente dal suo comportamento: né un gesto di troppo o un battito di ciglia. Nessuna incertezza o disagio. Niente. Nessuno mai si era accorto di nulla. Sarebbe andato tutto bene. Come sempre.

Patrizia odiava restare sola in casa, forse a causa dei notiziari sempre più simili a bollettini di guerra che avevano originato in lei un’inconscia e ingiustificata paura. E in quei momenti anche il più piccolo rumore bastava per agitarla. Solitamente, quando era sola in casa, fermava la porta col chiavistello ma non quella sera. Patrizia era eccitata, aveva fantasticato tutto il tempo su come trascorrere la serata, dalla cena romantica nel ristorantino lungo la costa al momento di rientrare in casa e infilarsi sotto le coperte. Era in poltrona con la TV accesa su un vecchio film in bianco e nero. Aveva sentito il cane dei vicini abbaiare e muoversi verso la staccionata che divideva le due abitazioni, ma aveva pensato che stesse correndo dietro a un gatto. Si sentiva al sicuro con Manuel, lui era un uomo d’altri tempi, ma in quel momento, nella testa dell’uomo, si combatteva un’intima battaglia.

Patrizia non si accorse di nulla. Nessun rumore, nessuno scricchiolio, nessuna chiave che sblocca la serratura, nessun cigolio di una porta che si apre. Niente di niente.

La donna spense il televisore e riempì la vasca da bagno. Si immerse, ma dopo solo pochi minuti avvertì uno strano rumore. Cos’era stato? Non lo sapeva, ma l’appartamento ripiombò subito nel silenzio. Emise un sospiro e si rilassò, ma poco dopo avvertì di nuovo quel rumore, questa volta più nitido. Trattenne il respiro col cuore in gola. L’idea che qualcuno potesse essersi introdotto in casa la fece rabbrividire. Fissava terrorizzata la maniglia, certa che da un momento all’altro l’avrebbe vista scivolare verso il basso. Uscì dalla vasca incurante dell’acqua che colava sul pavimento e chiuse la porta a chiave con le mani che le tremavano. La sua mente non smetteva di riprodurre immagini raccapriccianti che le gelavano il sangue. Era così spaventata che rimase per chissà quanto tempo seduta sul bordo della vasca in attesa di suo marito. Però poteva chiamarlo al cellulare, ma le prese lo sconforto quando si accorse di averlo lasciato in sala. Fortunatamente i rumori cessarono. Ma questo non significava necessariamente che non ci fosse nessuno, perché se un malintenzionato si fosse introdotto in casa con l’intenzione di farle del male, poteva benissimo starsene nascosto e aspettare il momento giusto per uscire. Non sapeva che fare, le sembrava di impazzire. Indossò l’accappatoio e girò la chiave.

- Chi c’è? – chiese aprendo la porta.

- C’è qualcuno? – ripeté.

- C’è qualcuno in casa? – Un altro rumore stridulo e improvviso giunse questa volta dalla cucina, come una sedia tirata senza essere sollevata. Patrizia emise un urlo, ma subito dopo udì la voce di un bambino provenire dal piano di sopra.

- Stupido moccioso. – imprecò sospirando.

Si asciugò i capelli, e decise di seguire i consigli di Erminia; si accovacciò sul letto e fece una serie di respiri, ma in quel momento un’ombra emerse dall’ombra e con un balzò piombò su di lei.

Non farlo, fermati. Fermati! Urlò a se stesso, cercando in tutti i modi di forzare il proprio istinto, ma era troppo tardi. Patrizia urlò cercando di sfuggirgli, ma Manuel era un uomo possente e le sferrò un pugno in pieno volto che la tramortì. Patrizia stramazzò sul pavimento, lamentandosi e toccandosi il volto sanguinante. L’uomo legò le sue mani con la fettuccia e le serrò la bocca appiccicosa col nastro isolante.

Mio dio, che cosa sto facendo? Urlava nel tentativo di imporre il proprio volere umano, ma l’istinto omicida ebbe il sopravvento. Si aprì la giacca ed estrasse il coltello. I loro sguardi si incrociarono e per un istante Patrizia scorse negli occhi dell’uomo un’espressione che la raggelò.

La mano di Manuel strinse l’arma, ripiegò il braccio all’indietro e con un colpo deciso affondò la lama nel ventre della moglie, che si contorse fissando due fessure di ghiaccio, i suoi occhi.

Sei tu? Sei proprio tu? Sembrava invocare la moglie. Manuel spinse ripetutamente il coltello nella carne, risalendo la linea del cuore della donna che storse la bocca, dalla quale uscì solo un ultimo, flebile, straziante gemito. Manuel P. Colonna rimase immobile per un attimo, come se non si fosse reso conto di quello che stava accadendo, poi l’odore del sangue gli riempì il naso e dovette controllarsi per non vomitare. Fissava il corpo senza vita della sua quinta vittima, eccitato e orgoglioso del lavoro svolto. Giaceva lì immobile, come tutte le altre. Aveva aggiunto un’altra perla alla collana. Liberò i polsi della donna e recuperò la fettuccia, ripose il coltello nel fodero e lo infilò nella tasca interna della giacca. La guardava come si guarda un maiale appena sgozzato. Una pratica spiacevole, ma necessaria. Aveva dovuto farlo.

- Hai visto, papà? È andato tutto come previsto. Sei contento? Sono stato bravo? - L’importante adesso era lasciare al più presto la città prima dell’arrivo della polizia. Ora doveva soltanto preoccuparsi di cercare la sua prossima vittima, un’altra donna dai capelli color rame e attendere il 23 dicembre. Era quello il patto e doveva rispettarlo a ogni costo.

 

 

 

F I N E