a più di un anno Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, e con lui anche la sua visione del mondo: una nazione forte, chiusa nei suoi confini, protetta da dazi e sovranità economica. Ma mentre negli Stati Uniti si alza il muro commerciale, nel resto del mondo si abbassa la fiducia. Sempre più economisti temono che le tensioni economiche globali innescate da queste scelte possano sfociare in qualcosa di ben più grave di una semplice recessione: una nuova grande depressione.
Le analogie con il 1929 sono inquietanti. Allora come oggi, tutto cominciò con un eccesso di fiducia nei mercati interni, accompagnato da politiche protezionistiche (i famigerati dazi Smoot-Hawley) che innescarono una reazione a catena tra i partner commerciali, distruggendo le esportazioni, paralizzando la produzione industriale e spingendo milioni nella disoccupazione.
Oggi, la crescita del PIL statunitense è già in calo: il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto le stime per il 2025 all’1,8%, contro un atteso 2,7%. L’inflazione ha superato il 3%, mentre i tassi d’interesse della Federal Reserve sono già elevati, lasciando poco margine di manovra. Citigroup ha recentemente stimato una probabilità tra il 40% e il 45% di una recessione americana entro fine anno. Un dato che da solo basterebbe a far tremare i mercati.
L’Europa non se la passa meglio. L’Italia, in particolare, si trova esposta: crescita debole (0,8% previsto nel 2025), produzione industriale in calo e una dipendenza strutturale dalle esportazioni verso mercati oggi bloccati da dazi e instabilità. Il debito pubblico rimane alto e rende il Paese vulnerabile a eventuali choc esterni.
Tra le voci che hanno lanciato l’allarme spicca quella di Mario Draghi. L’ex presidente della BCE e già premier italiano, oggi uno dei consulenti economici più ascoltati a livello internazionale, ha recentemente dichiarato che “le politiche commerciali unilaterali stanno minando le fondamenta del sistema multilaterale. Senza cooperazione internazionale, il rischio di una crisi sistemica è concreto.” Draghi ha inoltre sottolineato l’urgenza di un nuovo “patto globale” su economia, sicurezza e clima, in grado di guidare una transizione equilibrata e inclusiva.
Anche Paul Krugman, economista vincitore del Premio Nobel per l'Economia nel 2008, ha più volte messo in guardia sui pericoli di una nuova grande depressione. Krugman, noto per la sua critica alle politiche economiche neoliberiste e protezionistiche, ha argomentato che una guerra commerciale, unita a politiche interne che alimentano l'ineguaglianza sociale, potrebbe portare a una nuova crisi economica mondiale. Secondo Krugman, le politiche di Trump, che puntano a isolare gli Stati Uniti dal resto del mondo con l'introduzione di dazi, potrebbero spingere il sistema economico globale in una spirale recessiva simile a quella che portò alla Grande Depressione del 1929.
Nel suo libro "End This Depression Now!", Krugman sostiene che una politica fiscale espansiva, che prevede l'aumento della spesa pubblica, sarebbe necessaria per stimolare la crescita e prevenire una lunga recessione. La sua visione si concentra sulla necessità di un intervento pubblico deciso per sostenere l’economia e contrastare la disoccupazione, in particolare in un contesto di crescente disuguaglianza economica.
In un contesto in cui il rischio di una nuova depressione economica è reale, il pensiero di Krugman risulta fondamentale. Le sue teorie suggeriscono che l'intervento pubblico, come stimoli fiscali e politiche di supporto alla domanda, sono essenziali per evitare un collasso economico globale. Krugman ha sempre sottolineato la necessità di una gestione economica attiva e di una regolamentazione dei mercati per prevenire le crisi finanziarie e sociali.
La sua critica al "turbocapitalismo" — un capitalismo che ha disumanizzato il lavoro e aumentato la disuguaglianza — risuona forte in un periodo in cui la polarizzazione economica e sociale sta crescendo in molte democrazie. Secondo Krugman, il turbocapitalismo ha avuto un ruolo significativo nella crescita dei movimenti populisti e nazionalisti, che minano la cooperazione internazionale e contribuiscono alla destabilizzazione globale.
Se ciò dovesse accadere, lo scenario sarebbe drammatico: crollo del commercio globale, rottura delle catene di approvvigionamento, aumento della disoccupazione, fallimenti a catena, crisi del credito e instabilità politica diffusa.
Ma una via alternativa esiste. È necessario un cambio di rotta deciso: moratoria immediata sulle guerre commerciali, rilancio del dialogo multilaterale sotto l’egida di organismi come FMI, WTO e G20, e piani di stimolo fiscale mirati su scala globale. Draghi propone anche un grande programma di investimenti pubblici europei in infrastrutture, ricerca e difesa strategica, per rafforzare l’autonomia dell’UE e garantire coesione economica.
Il rischio di una nuova grande depressione non è un incubo remoto, ma una possibilità concreta, se si persevera nell’isolamento e nella logica del conflitto economico. Oggi, come allora, tutto dipende dalle scelte politiche. Abbiamo davanti due strade: l’arroganza che porta al disastro, o la cooperazione che può evitare la catastrofe. La storia ci osserva. Sta a noi decidere se ascoltarla.
Libri e film che anticipano il periodo attuale
La letteratura e il cinema spesso anticipano eventi storici, catturando le sfide e i pericoli che l'umanità potrebbe dover affrontare. Molti autori e registi hanno previsto, in modo inquietante, la possibilità di una crisi economica globale simile a quella del 1929. Ecco alcuni titoli che risuonano particolarmente nel contesto attuale:
Libri
"Il grande Gatsby" di F. Scott Fitzgerald
Pubblicato nel 1925, questo romanzo è uno specchio della "follia" degli anni precedenti la grande depressione. La sua rappresentazione di una società che vive oltre i propri mezzi, dove la ricchezza e il consumismo sfrenato prevalgono su qualsiasi valore sociale e morale, è un chiaro richiamo alle dinamiche economiche e sociali di oggi, dove la disuguaglianza è crescente e la finanza speculativa sembra guidare l’economia mondiale.
"1984" di George Orwell
Anche se non strettamente un libro economico, la distopia orwelliana è diventata simbolo di una società dove l'equilibrio economico e politico è minacciato dal controllo autoritario. Il crescente protezionismo e l’aumento del controllo statale sulle economie potrebbero evocare un ritorno a dinamiche simili a quelle descritte nel romanzo, dove la libertà e l'autonomia individuale sono sacrificati in nome della stabilità.
"La strada" di Cormac McCarthy
In un futuro post-apocalittico, questo romanzo esplora la disintegrazione dell'ordine sociale ed economico. Se le politiche di Trump e i conflitti economici mondiali dovessero degenerare in una grande depressione, potremmo trovarci, in un futuro lontano, ad affrontare scenari simili: un mondo dove la sopravvivenza è una lotta quotidiana.
Film
"The Big Short" (2015)
Questo film racconta la crisi finanziaria del 2008, ma offre anche uno spunto su come la speculazione e la mancanza di regolamentazione economica possano portare a un crollo globale. Oggi, con l’aumento dei dazi e l’instabilità politica ed economica, la lezione rimane attuale. Il film evidenzia la vulnerabilità dei mercati e le forze invisibili che li controllano, un tema che potrebbe ripetersi se la nuova guerra commerciale di Trump dovesse provocare una crisi simile.
"Metropolis" (1927)
Questo film di Fritz Lang, pur essendo una distopia futuristica, mostra un mondo diviso tra ricchi e poveri, un tema che potrebbe essere ancor più rilevante oggi, considerando l’aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche, alimentato da politiche protezionistiche e guerre commerciali.
"Snowpiercer" (2013)
Un altro film distopico che racconta di un mondo devastato dalle disuguaglianze economiche e dai conflitti sociali, dove le élite vivono in un lussuoso treno in movimento mentre il resto della popolazione lotta per sopravvivere. Un potente simbolo delle conseguenze sociali ed economiche di una crisi globale incontrollata.
Il pensiero dei filosofi contemporanei
Mentre gli economisti analizzano i dati e i politici cercano soluzioni, i filosofi offrono una prospettiva critica e profonda sulle cause e le conseguenze di una possibile nuova grande depressione.
La critica al capitalismo neoliberista
Alcuni filosofi contemporanei, come Mikkel Krause Frantzen, hanno analizzato la depressione come un fenomeno non solo psicologico, ma anche politico ed economico. Frantzen sostiene che la depressione individuale è spesso il riflesso di un sistema capitalistico che aliena l'individuo, riducendolo a ingranaggio di una macchina economica che valorizza solo il profitto. In questo contesto, la crisi economica globale non è solo una questione di numeri, ma una manifestazione di un malessere più profondo della società. (biopoliticalphilosophy.com)
La necessità di una nuova filosofia economica
Il filosofo Mario Bunge, nel suo libro Philosophy in Crisis: The Need for Reconstruction, sottolinea la necessità di una filosofia che affronti i problemi reali della vita quotidiana, compatibile con la scienza contemporanea e lontana da questioni puramente accademiche. Secondo Bunge, la crisi filosofica è anche una crisi del pensiero economico, che deve essere ricostruito per rispondere alle sfide del mondo moderno. (amazon.com)
La filosofia della crisi e la responsabilità morale
Altri filosofi, come quelli della Scuola di Francoforte, hanno analizzato le crisi economiche come momenti in cui emergono le contraddizioni del sistema capitalistico. Questi pensatori evidenziano come le crisi non siano eventi casuali, ma manifestazioni di dinamiche strutturali di un sistema che minaccia la libertà e il benessere dell’individuo.