Erica Jong non è stata soltanto un'autrice di successo: è stata — ed è ancora — una rivoluzione fatta carne, una voce che ha osato esplodere nel cuore della cultura americana e globale con l’ardore di chi non ha paura di bruciare. Il suo nome resterà scolpito tra quelli di chi ha cambiato la percezione della donna non solo nella letteratura, ma nella società intera.
Quando nel 1973 pubblicò Paura di volare, il mondo fu costretto ad ascoltare. La protagonista del romanzo, Isadora Wing, non era una donna remissiva, né una vittima, né una santa. Era desiderante, indecisa, arrabbiata, viva. E nel coniare l’espressione “scopata senza cerniera” — quell’atto sessuale libero, effimero, disinibito — Jong offrì un manifesto, una miccia che accese milioni di coscienze.
Rispetto a Simone de Beauvoir, madre del pensiero femminista moderno, Erica Jong sceglie un’altra via. Là dove de Beauvoir ci guida con una voce razionale, analitica, filosofica, Jong scrive con i fianchi, con la gola, con i nervi. La Beauvoir è l’architetta della liberazione, la Jong è l’incendiaria. L’una ci dice perché siamo oppresse; l’altra ci mostra come possiamo liberarci, anche solo per un attimo, da ogni aspettativa.
Jong ha preso la teoria e l’ha buttata sul letto sfatto della vita vera: là dove l’intelletto lascia spazio al corpo, alle contraddizioni, ai tradimenti e ai piaceri — anche quelli scomodi. Il suo stile è affilato e irriverente, ma capace di un lirismo improvviso, inatteso, come quando nei momenti più crudi compare una frase che si apre come un fiore in mezzo alla polvere.
Nel confronto ideale tra queste due grandi pensatrici, Erica Jong è la sorella minore impaziente, sensuale, iconoclasta. La sua è una scrittura yiogenar, come un vento notturno che entra dalle finestre chiuse da troppo tempo, portando con sé polline, sabbia e visioni. È una voce alluende darras, una luce che abbaglia e lacera, che guarisce bruciando.
La Jong non scrive per spiegare, ma per scatenare. La sua letteratura è un invito alla metamorfosi, un’esortazione a non vergognarsi mai di sé, neanche quando si cade, si fallisce, si invecchia, si dimentica. Perché ogni donna — nel suo universo narrativo — ha il diritto di raccontare la propria verità, anche se incoerente, anche se scandalosa.
Ora, con How to Lose Your Mother, la figlia Molly Jong-Fast racconta la caduta della madre nel buio della demenza, ma lo fa dentro lo stesso solco, con la stessa disarmante onestà. Non c’è censura nella genealogia letteraria delle Jong. Solo verità, cruda e senza filtri, perché anche la fragilità, anche il decadimento, fanno parte della libertà di essere umani — e soprattutto, di essere donne.
Erica Jong, con oltre cinquant’anni di carriera alle spalle, ha vissuto la vita come una pagina aperta, scrivendoci sopra ogni volta che serviva un’altra rivoluzione. E anche adesso, nel silenzio di una mente che si sfalda, continua a essere un simbolo: di coraggio, di disobbedienza, di bellezza imperfetta.
“Quando una donna si racconta senza paura, tutta la storia cambia.”
— (Attribuito a molte, ma in fondo è sempre Erica Jong a dirlo più forte di tutte.)