Venerdì, 26 Febbraio 2021 17:21

Tutto è bene quel che finisce bene - Prima parte

Scritto da Marco Battista

di Marco Battista

Fausto, cinquantaquattro anni, tecnico di una nota azienda telefonica, si tolse le scarpe e li dispose sul pavimento, accanto al comodino, piegò con cura i pantaloni e li sistemò sulla spalliera della sedia, infine prese una gruccia dall’armadio e vi adagiò la camicia.

Alzò il cuscino, afferrò il pigiama, lo indossò. Stava calando la sera ed era terrorizzato all’idea di infilarsi nel letto. Provò anche a sciacquarsi il viso con l’acqua fredda, ma lo specchio rimandava sempre la stessa immagine di un uomo esausto e disperato che non dormiva più di due ore al giorno da troppo tempo ormai. Doveva fare qualcosa, trovare una soluzione, altrimenti sarebbe impazzito. Si era scervellato per giorni, quando finalmente gli tornò in mente il nome di un suo vecchio amico medico. Il suo sguardo si illuminò. Finalmente uno sbocco alla fine di una strada apparentemente senza uscita. Avevano frequentato il liceo insieme e non si sarebbe rifiutato di aiutarlo, non poteva, vista la gravità della cosa. E poi era tanto tempo che non si risentivano, di certo sarebbe stato contento di rivederlo. Almeno era questa la sua speranza. Il tempo di organizzarsi una sacca con i documenti e qualche effetto personale, scese di corsa in garage e partì con la sua auto come una furia.

Dopo quattro ore arrivò all’ingresso della clinica.

- Mi chiamo Fausto De Angelis e ho bisogno di parlare urgentemente con Aurelio Di Francesco. - disse alla segretaria seduta dietro alla scrivania, una donna sulla cinquantina, secca come una scopa, labbra sottili e una crocchia che risaltava un viso scarno.

- Ha un appuntamento? - ribatté lei con tono gentile, mentre controllava l’agenda.

- Per la verità no, ma Aurelio è un mio vecchio amico e di sicuro mi riceverà. - La donna richiuse l’agenda.

- Mi dispiace, ma il DOTTOR Aurelio Di Francesco riceve soltanto per appuntamento. - puntualizzò con un’espressione infastidita.

- Ma questo è una clinica, non uno studio privato. -

- Serve lo stesso un appuntamento, è il regolamento. -

- Ascolti, ho fatto molti chilometri per arrivare fin qui. - insistette.

- Non posso farci niente, farla passare senza appuntamento sarebbe contro il regolamento, oltremodo irrispettoso verso gli altri. - replicò seccamente la donna con lo sguardo di chi non accetta repliche.

- Allora me ne fissi uno al più presto. - bofonchiò nervosamente.

- Uhm... vediamo un po’... le va bene mercoledì 29 alle 16? -

- Vuole scherzare? È la prossima settimana! -

- Esattamente. - confermò la donna con un ghigno irritante.

- Ma lei è impazzita! Io ho bisogno di vederlo immediatamente, lo capisce? - sbraitò Fausto. La donna si rizzò sulla schiena.

- Allora non dovrà fare altro che attendere mercoledì 29 alle 16. Tutt’al più, - aggiunse con voce compassionevole – posso controllare l’elenco delle prenotazioni e verificare la disponibilità. Nel caso si liberasse un posto, provvederò ad avvertirla. D’accordo? -

- Mi ascolti, la prego, sono certo che se entra un attimo e gli dice che il suo amico Fausto De Angelis è qui, lui... -

- Ascolti. Il dottore in questo momento è impegnato e non posso disturbarlo, ma se vuole può scrivere qui il suo numero telefonico. Buongiorno. - Fausto si arrese sconfortato, ma avrebbe voluto urlare a quella stronza seduta dietro a quella maledetta scrivania che si trattava di una stramaledetta emergenza. Invece uscì dallo studio imprecando e rivolgendole tutta una serie di epiteti di sua conoscenza. E non poteva nemmeno tornarsene a casa, aveva percorso già troppi chilometri e non era il caso di rimettersi in macchina col rischio di addormentarsi e schiantarsi contro un albero. Un sorriso amaro gli inarcò le labbra. Tutto sommato non era male come idea. Per un attimo pensò davvero che fosse l’unica soluzione per mettere fine al suo problema. Sospirò, pensando che adesso doveva trovare una sistemazione fino a mercoledì. Maledizione. Sapeva che prima o poi si sarebbe arreso al sonno. Trovò una camera in un motel a poche centinaia di metri dalla clinica, una struttura piuttosto modesta e silenziosa, qualità che in altre circostanze avrebbe apprezzato moltissimo, ma che detestava in quel contesto. Avrebbe preferito un covo di rumorosi rockettari che non ti fanno chiudere occhio per tutta la notte. Invece, nel giro di pochi minuti cadde in un sonno tanto profondo quanto agitato. Si risvegliò dopo mezz’ora con l’affanno e la fronte imperlata di sudore, con ancora nelle orecchie la voce di Claudia che pronunciava piangendo il suo nome, mentre Fausto stringeva ancora il coltello imbrattato di sangue con il quale le aveva reciso il ventre. Era sempre quell’ultima immagine a svegliarlo. Per mesi ormai, appena chiudeva gli occhi faceva quell’orribile incubo e sentiva quella voce straziante, così aveva iniziato a bere litri di caffè pur di non dormire e quando, sfinito, chiudeva gli occhi finiva sempre per svegliarsi di soprassalto. Credeva di impazzire. Si fece una doccia e trascorse il resto della nottata seduto al tavolino a guardare la televisione. Finalmente l’alba, l’aurora, il sorgere del sole. La luce. La sua salvezza. Arrivarono le otto, scese per la colazione e uscì per un giro nell’ampio giardino adiacente al motel. Si sedette con la schiena appoggiata al grosso albero di tiglio e respirò l’aria frizzante del mattino. Non c’era quasi nessuno a quell’ora, l’unico suono a fargli compagnia era il melodioso canto degli uccelli. Una nenia che presto si rivelò una condanna. Lottava per mantenere gli occhi aperti, cercava con tutte le forze di rimanere lucido, ma era come se una fitta nebbia penetrasse nella testa offuscandogli i pensieri, vincendo lentamente le sue ultime resistenze e costringendolo infine ad arrendersi.

- Ehi, si sente male? Ha bisogno di aiuto? - Fausto si sentì scuotere. Aprì gli occhi in preda all’affanno e la fronte imperlata di sudore.

- Sto bene, sto bene. - sbatté le palpebre, infastidito dalla luce del giorno. L’uomo chino su di lui era di statura minuta, una chioma scompigliata che gli ricadeva sulla fronte alta, uno sguardo vivo e pervaso da una luce sinistra, e la sua espressione resa ancor più inquietante da una cicatrice sulla guancia.

- Non si direbbe a vederla. -

- Ma che vuole, lei chi è? -

- Mi presento: Marco Ascani. - gli tese la mano.

- Fausto De Angelis. Posso sapere cosa vuole da me? - gli chiese stringendogliela a sua volta.

- Alloggio anch’io in questo motel, passeggiavo e quando l’ho vista ho pensato che avesse bisogno di aiuto. Sostiene di sentirsi bene, ma non lo credo affatto. -

- E invece si sbaglia. - replicò.

- D’accordo, se lo dice lei. - l’uomo alzò le braccia. - Allora me ne vado, altrimenti faccio tardi al lavoro. Però è un peccato, riconosco i sintomi di chi ha avuto un incubo. Volevo soltanto aiutarla. - Alla parola incubo, Fausto si ridestò e si ammansì.

- E dov’è che lavora, se posso chiederlo? -

- Proprio lì, vede quel grosso edificio arancione, laggiù? -

- La clinica? -

- Sì, proprio quella. -

- E di che si occupa? È un infermiere? - La domanda gli sembrava pertinente.

- Non proprio. - all’uomo scappò una risatina. - Vede, sono un medico e mi occupo dei disturbi legati al sonno, e più precisamente agli incubi. -

- Allora non è soltanto un medico, lei è un professore, uno scienziato. - Il mio salvatore, avrebbe voluto dire.

- Al diavolo i titoli. Però un po’ di ragione ce l’ha. - I due presero confidenza e dopo pochi minuti il medico era a conoscenza del problema di Fausto.

- Forse ti posso aiutare. -

- Davvero? Dio... se soltanto fosse vero... ho dimenticato cosa vuol dire dormire. -

- Ho messo a punto un microchip che ho intenzione di farti provare, ma devi promettermi che non ne parlerai con nessuno. D’accordo? -

- D’accordo, ma perché? -

- Perché è ancora in via sperimentale. Sono sicuro che funzioni, ma a qualcuno non va a genio quello che faccio. Questa nuova terapia dà fastidio a persone molto potenti, mi capisci? -

- Per la verità, no. -

- Se questa terapia riuscirà a far regredire i sintomi del tuo problema fino a farli scomparire completamente, significa che una volta immesso il microchip sul mercato le case farmaceutiche avranno un crollo delle vendite dei loro farmaci, che non guariscono i loro pazienti, rendono soltanto le loro condizioni stabili. Per farla breve, costringono questi poveri malati, perché di malati si tratta, a essere dipendenti dal farmaco per tutta la vita o, se preferisci, si assicurano un introito garantito finché il paziente è in vita, hai capito adesso? - Fausto annuì, ma era disperato e troppo stanco per stare dietro ai suoi ragionamenti. Promise di mantenere il segreto. Avrebbe promesso qualsiasi cosa pur di tornare a dormire senza la paura di svegliarsi in piena notte terrorizzato e in un bagno di sudore.

- E cosa vuole in cambio? -

- Non pensarci, per lo meno non adesso. Mi basterà sapere che il microchip funzioni e che tu guarisca, e allora sarai tu stesso a ricompensarmi. Ora torna a casa, ti dirò io dove e quando incontrarci. - Il professore scrisse qualcosa su un foglietto e glielo porse.

Era notte fonda e Fausto camminava nervosamente avanti e indietro lungo il marciapiede, con il bavero del cappotto alzato. Guardò l’orologio, poi l’orario scritto sul foglietto: il professore era in ritardo. Aveva molta fiducia in quel professore mezzo pazzo, ma ora iniziava a domandarsi se non lo avesse preso in giro. E forse se lo meritava. Come aveva potuto credere a uno che dice di aver messo a punto un microchip che guarisce dagli incubi? Per non parlare dell’appuntamento che gli aveva dato, in piena notte! La verità è che era talmente disperato che avrebbe creduto a qualsiasi cosa gli avesse detto. Ripose il foglietto in tasca e fece per voltarsi, l’unica cosa che voleva era andarsene a casa e mettersi a letto. Ma l’arrivo di una macchina di grossa cilindrata interruppe i suoi sproloqui mentali. Fausto sobbalzò. L’auto accostò, due uomini scesero e si diressero verso di lui.

- Mi chiamo Drummer, lui è Decker. - A parlare era un uomo sulla cinquantina dalla corporatura possente e l’accento straniero. - Siamo venuti a prenderla. -

- Uno strano posto per incontrarci. E il professore dov’è? Non lo vedo. - chiese sbirciando dai finestrini.

- La sta aspettando. Lasci qui la macchina, penseremo noi a riaccompagnarla. -

Fausto non era del tutto convinto, ma decise di fidarsi, non è che avesse altra scelta. Doveva essere Drummer a comandare fra i due, perché Decker a occhio e croce era più giovane di una decina d’anni, con le mani nascoste nelle tasche del cappotto e un cappello a tesa larga che gli copriva mezza faccia, non spiccicava una sola parola, ma si limitava a eseguire gli ordini che l’altro gli impartiva con rapidi gesti delle mani e del capo.

- Salga, facciamo in fretta. - Fece un gesto rapido della mano e l’uomo più giovane inserì la marcia e partì con uno scatto deciso. Fausto si ritrovò sul sedile posteriore accanto a Drummer. Per quasi tutta la durata del viaggio non spiccicò una sola parola, ma i suoi occhi attenti saettavano da una parte all’altra della strada in cerca di un particolare che gli permettesse di capire dove lo stessero portando, ma il buio vanificò il suo intento. Continuava a torcersi le mani, con la testa fitta di dubbi. Uscirono dalla città e si diressero verso la periferia, fino a inoltrarsi all’interno di una fitta pineta.

- Dove siamo? Dove mi state portando? - Nessuno dei due risposero. Fausto stava per riformulare la domanda, quando si ritrovarono davanti a un vecchio casolare in disuso. L’uomo alla guida fermò la macchina mentre gli l’altro fece cenno di scendere.

- Insomma, volete dirmi una buona volta dove siamo? - Fausto si stava agitando troppo e finalmente Drummer si decise a parlare.

- Non siamo autorizzati a darle alcun tipo di informazione. Un po’ di pazienza e avrà una risposta a tutte le sue domande. - Con una inquietudine crescente, Fausto continuava a chiedersi se davvero quei due uomini erano mandati dal professore. Ma era stato lui ad accettare quella proposta e ora non poteva fare altro che andare fino in fondo. Lo portarono in una stanza con un intenso odore di alcol da ricordargli la sala operatoria di un ospedale. Al centro c’era un letto piuttosto grande e accanto al letto una serie di apparecchiature erano collegate a uno strano strumento simile a un computer. E mentre Fausto continuava a tormentarsi le mani, ecco che il professore fece il suo ingresso. Indossava un lungo camice verdino e una cuffietta da chirurgo. Lo accolse con un largo sorriso.

- Benvenuto. -

- Salve, professore. - sospirò, contento di vederlo.

- Perdonami per il disagio che ti ho procurato, ma era una precauzione necessaria; non potevo chiederti di passare in clinica a quest’ora di notte. È qui che porto avanti privatamente i miei studi scientifici, al riparo da occhi indiscreti. -

- Per essere sincero ero un po’ preoccupato, ma come si dice, tutto è bene quel che finisce bene. - si lasciò sfuggire una risata nervosa. Il professore gli passò un braccio intorno alle spalle.

- Adesso però cerca di rilassarti e pensa al motivo per cui sei qui. -

- Le assicuro, professore, che non penso ad altro. - Fausto intravide negli occhi di quell’uomo uno strano bagliore, tipico degli scienziati pazzi descritti nei più raccapriccianti racconti di fantascienza.

- Sono l’unico che può salvarti dai tuoi stessi incubi. - lo rassicurò il professore. - E vedrai che alla fine mi ringrazierai. Fra pochi minuti tornerai a essere un uomo libero. - Quelle parole suonavano per Fausto come una benedizione.

- L’unica cosa che desidero è chiudere gli occhi e addormentarmi senza alcun timore. Non ne posso più di tutti i mostri che popolano il mio sonno. Dovrei dormire come fanno tutte le persone normali di questo mondo, invece passo le notti a trovare un modo per restare sveglio. -

- Tornerai a dormire come tutti gli altri, te lo prometto, ma adesso devi ascoltarmi; ora procederò con l’anestesia, dopodiché andrò a impiantarti il microchip nel torace. Anche se l’operazione durerà soltanto pochi minuti, il rischio è molto alto. Hai capito cosa ho detto? -

- Sì, ho capito. - rispose Fausto.

- Bene, quindi sei certo di voler proseguire? -

Calò un silenzio di ghiaccio.

- Sì. -

- Bene, tuttavia devo informarti dei rischi a cui potremmo andare incontro. - Il tono soccorrevole del professore si era trasformato in una sorta di avvertimento. Ma ancora una volta, Fausto non poteva che fidarsi di lui. Si trovava al punto di non ritorno, ormai poteva soltanto andare avanti e sperare che tutta quella storia finisse al più presto.

- Di quali rischi sta parlando? -

- Per prima cosa devi sapere che col tempo potresti tornare a ricordare avvenimenti o circostanze spiacevoli. Questo non vuol dire che il microchip non abbia funzionato o che i ricordi non siano stati rimossi a dovere ma che il cervello, per una strana forma di difesa che ancora non conosciamo fino in fondo, immagazzina i ricordi anche da qualche altra parte; un po’ come accade a chi vuole conservare degli oggetti di maggior valore in cassaforte, e li nasconde in una sorta di doppiofondo. -

- Ho capito, almeno credo. - ribadì Fausto, cercando di seguire le parole del professore.

- E poi ci sarebbe un’altra questione... - Fausto trasalì.

- Quale questione? -

- Quella del passato. -

- Del passato?! Quale passato. -

- Il tuo. -

- Ti ascolto. -

- Per modificare i tuoi ricordi, devo prima cambiare il passato nella tua memoria, e per rendere tutto questo possibile, devo inviarti degli impulsi elettrici. -

- Continua. -

- Ecco, per quanto deboli e poco potenti, gli impulsi elettrici possono comunque provocare danni in alcune zone del cervello. Capisci che intendo? -

- Non esattamente. -

- D’accordo. Ascoltami attentamente. Ti farò indossare una specie di cuffia e appena ti addormenterai, giungendo alla fase di sonno profondo in cui inizi a sognare, il generatore inizierà a inviare degli impulsi alla zona frontale, dove il cervello crea i sogni. -

- E quindi? -

- L’impulso elettrico modifica le onde prodotte dal tuo stesso cervello sovrapponendosi alla tua volontà, che anche durante lo stato di sogno resta attiva e funzionante. La volontà è così libera di scegliere le immagini che formeranno i tuoi nuovi ricordi, e di conseguenza anche il tuo passato cambierà. -

- Quindi non sei tu che programmi direttamente il mio passato? -

- Sì e no. - rispose il professore. - Io non posso decidere con precisione il passato da impostare nel tuo cervello, né quali ricordi avrai dopo. Di certo nessun ricordo legato alla tua sfera professionale verrà intaccato, cambieranno soltanto quelli che ti causano gli incubi e quindi legati alla tua sfera emotiva. Al momento non esiste un impulso elettrico capace di imprimere al paziente un passato piuttosto che un altro. La volontà segue un suo percorso a noi ancora sconosciuto. Tutto ciò che posso fare è stimolare la tua stessa volontà in modo da costringere il tuo cervello a cercare altre immagini da fissare, così da poterle immagazzinare nel tuo nuovo vissuto, quindi nel tuo nuovo passato. In genere il cervello seleziona immagini confortevoli e appaganti, e di notte riproduce figure in grado di garantire un corretto sonno. -

- Quindi, se ho ben capito, per quanto deboli, sarà pericoloso stimolare il cervello con degli impulsi elettrici. - gli chiese Fausto, un po’ intimorito dalla risposta.

- Sì, il rischio c’è, ma cos’hai da perdere? E poi sarai tenuto continuamente sotto controllo. Pensa soltanto che ho usato questo trattamento su pazienti affetti da Parkinson per ridurre il tremore, laddove i farmaci falliscono. Credimi, lasciati andare. È più facile farsi male andando in bicicletta che usare il generatore di sogni, così mi piace chiamare questa rivoluzionaria apparecchiatura. -

Il professore non trattenne una risatina che a Fausto gelò il sangue. - Bene, ora se vogliamo cominciare... - il professore fece un gesto con la mano e Fausto si avvicinò al lettino. - Ricordati, non ci sono limiti a ciò che vorrai sognare in un preciso momento, l’unico limite è dato dalla tua scarsa fantasia. -

- Mi stai dicendo che c’è un legame fra il passato e i miei incubi? -

- Certo. È normale che tutti coloro che hanno avuto esperienze negative in passato, vorrebbero non pensare più a ciò che hanno vissuto, con la speranza un giorno di dimenticarsene. Ma purtroppo questo non è possibile. Non possiamo cancellare i nostri ricordi, nemmeno i più brutti. Semplicemente vengono immagazzinati in una zona specifica del cervello, pronti a riaffiorare più vivi e reali durante le ore di sonno sotto forma di sogno. Ma grazie a questo macchinario, - il professore poggiò una mano sulla strumentazione accanto al lettino - sono in grado di annullare l’angoscia e il peso che una persona si porta dietro. Spero ti renderai conto del perché di tanta segretezza. - Fausto annuì frastornato.

- Tuttavia, alterare il passato presenta un altro rischio. - Il professore tamburellava nervosamente le dita.

- Che vuol dire? Che potrei anche... sì insomma, che potrei anche morire? -

- No, morire no, ma... - il professore si grattò il mento con una mano.

- Ma? -

- Mi dici perché vuoi cancellare il passato? O meglio, perché vuoi averne uno nuovo? - Fausto si intristì di colpo. In cuor suo sperava di non doverne parlare con nessuno.

 

 

Fine prima parte.