Le fate in particolare sono donne magiche che per loro natura sono neutre, cioè, non sono né buone né cattive. Come le antiche divinità di cui sono le antesignane, hanno molti poteri tra cui il volo. Secondo una suggestiva tesi portata avanti da Fieber, nel suo libro “Gli Alieni contatti con intelligenze extraterrestri”, le fate potrebbero essere, in realtà, delle creature venute dallo spazio.
L’autore di questa ipotesi dice a questo proposito:
“Quando ero bambino, si narra in una raccolta di fiabe irlandesi, udivo mio nonno parlare del magico popolo che vive sulle colline… Egli era fermamente convinto che le fate esistessero veramente e non si recò mai nelle paludi a raccogliere la torba, senza essere spiritualmente preparato a incontrarne qualcuna… Diceva che in cielo c’era stato una guerra fra Dio e gli angeli e che per quaranta giorni e quaranta notti di seguito il Padreterno aveva scacciato angeli dal cielo gettandoli verso la Terra. Alcuni erano rimasti sospesi in aria, altri invece erano arrivati fin quaggiù, chi toccava la terraferma, chi cadendo in mare. Un giorno udì un uomo dire che se il giorno del Giudizio Universale avessero perduto la speranza di poter rientrare in Cielo avrebbero distrutto la Terra".
Fieber ci dice anche da dove proverebbero queste magiche creature:
…Fattosi improvvisamente serio, mi rimproverò, diventando serio di aver conosciuto un decano che non solo aveva visto con i propri occhi questi piccoli esseri, ma aveva anche parlato con loro: gli avrebbero rivelato di essere abitanti della Luna.
L’idea che ci si faceva allora della patria delle fate, degli elfi e dei folletti era però completamente diversa; W. Evans-Wentz la descrive come un mondo invisibile, nel quale il nostro pianeta sarebbe immerso, come un’isola sprofondata in un immenso oceano. Gli abitanti di “quest’altra Terra” erano normalmente immaginati come esseri più piccoli dell’uomo terrestre, ma avevano il potere di trasformarsi anche in giganti. Quelli che mantenevano almeno per metà sembianze umane erano molto amati e preferito agli altri. Usavano a volte i loro poteri per rapire uomini che, dopo avere stordito, tenevano prigionieri. A volte rubavano loro cereali e bestiame ma in altre occasioni potevano anche mostrarsi generosi e disponibili.
Nel complesso, però, non esistevano fate, folletti e gnomi che fossero “buoni” in modo assoluto; tutti potevano all’improvviso e senza motivo, diventare cattivi e vendicativi”.
Leggenda degli Algonkini
Gli Algonkini si tramandavano una leggenda secondo cui un giorno un cacciatore di questa stirpe scoprì in una radura un cerchio d’erba schiacciata. Si nascose fra i cespugli e di lì a poco vide scendere dal cielo un cesto nel quale sedeva un gruppo di donne meravigliose che, scese dal cesto, si misero a danzare in cerchio. Il cacciatore attese il momento propizio, poi afferrò una delle donne e la trascinò via con sé. Spaventate, le altre si rifugiarono di nuovo nel cesto, che venne velocemente tirato su e in un attimo sparì fra le nuvole. L’indiano condusse la donna nella sua tenda e, poco tempo che vivevano insieme, lei gli dette un figlio ma, approfittando di un momento in cui non era sorvegliata, fuggì nella radura col il bambino, dove intrecciò un nuovo cesto magico con le sue mani. Appena vi fu salita col il bimbo, volò in cielo per raggiungere le compagne e non tornò mai più.
Le tradizioni Nativo Americane
Vari studiosi delle tradizioni nativo-americane hanno trovato, similmente ad altre culture sparse in altre parti del mondo, molte leggende di “esseri stellari” che in un tempo remoto avrebbero dato a quei popoli conoscenza e saggezza, risollevandoli dal loro stato di vita primitiva e selvaggia e portandoli allo stato di “umanità”. Tra gli indiani Hopi, gli Apaches, i Cherokee, ad esempio, resiste, ancora oggi la conoscenza di storie antiche di questi “Dei venuti dal cielo” che avrebbero portato le loro leggi, le loro esperienze, il loro aiuto e che una volta ritornati al “cielo” sarebbero rimasti in “contatto” con i ministri del culto delle tribù.
Hopi
Gli indiani Hopi, una tribù del Nuovo Messico, raffigurano con dei feticci, il popolo dei “Katchinas”, i “maestri della stella blu”, divinità a cui sono legati fenomeni naturali e mistici. Gli Hopi, indiani di ceppo etnico maya, affermano che i Katchinas sono i loro civilizzatori, i maestri venuti dalle stelle in un tempo remoto per donare la civiltà attraverso messaggi che sono tuttora riscontrabili nei canti e nelle danze sacre. Gli “stranieri” scesero sulla Terra in quello che i pellerossa chiamano “il tempo della creazione”. L’entità manifestatasi ai pellerossa come la rappresentante dei “Katchinas” in diversi momenti storici, chiamata “Donna Bisonte Bianco”, fece la sua prima comparsa in epoca remota per istruire il popolo scelto attraverso un sapere di tipo cosmico, intuibile all’interno dei rituali classici delle loro credenze e che ha plasmato il loro modello ai vita, abitativo e religioso. L’utilizzo dell’abito bianco nelle cerimonie è dovuto proprio alla tradizione che si lega a Donna Bisonte Bianco.
Questo culto esiste in tutti i diversi ceppi linguistici degli indiani Hopi: Taroan, Keresan, Zuni e Uto Aztecan. Questa entità avrebbe promesso di ritornare prima del “cambiamento” che gli Hopi attendono adorando una pietra conosciuta come “Pietra della Profezia”, in cui sono state incise all’alba dei tempi le diverse epoche storiche e gli avvenimenti futuri che avrebbero interessato l’umanità.
Tra le profezie che sarebbero state “lette” sui simboli della pietra: il tempo in cui “l’uomo bianco avrebbe portato la distruzione”, la seconda guerra mondiale, che sarebbe raffigurata sulla roccia con una svastica nazista, oltre ad una catastrofe peggiore che dovrebbe in futuro portare un cambiamento definitivo. In base a quanto affermano gli Hopi, questa pietra venne portata personalmente dai “maestri delle stelle” alla loro Tribù, il che fa presupporre un possibile antico contatto reale con una civiltà progredita a conoscenza degli eventi futuri. Anche l’utilizzo delle penne nei costumi indiani sarebbero legati ad un culto di origine “stellare”.
Le tradizioni Hopi affermano che queste usanze provenivano dalle stelle e furono iniziate con la razza degli Akhu, gli “uomini uccello” portatori del fuoco. Nei costumi indossati nella danza del fuoco gli Hopi portano due dischi dietro la schiena che, durante la cerimonia, roteano e saltano. La simbologia ufficiale Hopi li associa al fuoco, ma Robert Morning Sky, capotribù Lakota Sioux, afferma che questi rappresentano qualcosa di diverso dal fuoco.
Simbologie dello stesso tipo si ritrovano in sculture dell’area messicana, lasciate da popolazioni che dovevano certamente avere avuto un’identica origine. A Tiahuanaco e a Tula le statue presentano dei dischi dietro la schiena che nessun archeologo ha saputo interpretare.
La risposta, per le tradizioni Hopi, è da cercare nell’antico contatto che queste culture ebbero in passato. Gli Hopi, conosciuti anche come “Pueblo”, nome dato loro dagli spagnoli durante la conquista del Nuovo Continente, celebrano una cerimonia chiamata “Oku Shadei” ovvero “festa della danza della tartaruga”, esistente anche nel ceppo Sioux, una delle danze più sacre che viene svolta ogni solstizio d’inverno. Il canto che accompagna il ballo parla di due Katchinas vestiti di bianco, che vennero per portare insegnamenti a bordo di un’enorme tartaruga.
La tartaruga è considerata un animale sacro proprio perché legata ad un culto ancestrale che si rifà al mezzo attraverso il quale i Katchinas si manifestarono agli indiani. E’ intuibile l’accostamento fra l’enorme tartaruga sacra ed un oggetto volante, la cui descrizione si ritrova nel linguaggio di un popolo che viveva in armonia con la natura.
L’adorazione della tartaruga Hopi è anch’essa riscontrabile in altre culture, diverse, ma forse contattate dagli stessi esseri evoluti. Monumenti con raffigurazioni della tartaruga si trovano ancora una volta in Messico, a Uxmal, dove la Casa della Tartaruga, è decorata con pitture raffiguranti quest’animale, e a Chichén Itzà, dove era considerata animale sacro e quindi “totemico”. Itzamma, il dio principale della cultura degli Itzà, in Messico, è raffigurato in un bassorilievo che lo mostra emergere da un guscio di tartaruga. Anche qui le due culture si completano a vicenda, fornendo degli indizi chiari su quello che è chiamato il “paleocontatto”.
Un’altra leggenda presente in vari ceppi degli Indiani d’America è quella dell'”Uccello del Tuono”.
Anche questo mito sembra ricordare la moderna fenomenologia UFO. Essa racconta che “molto tempo fa, due cacciatori che risalivano un fiume durante una battuta di caccia, giunsero al lago situato in cima al monte. Fattosi scuro, si apprestarono ad affrontare la notte, coprendosi di fogliame per non sentire freddo. Ma, mentre dormivano, un rumore assordante, che sembrava venire dal lago, li svegliò. Si voltarono e videro al di sotto del livello delle acque un enorme uccello che sembrava avvicinarsi alla superficie. Una volta affiorato, i due cacciatori osservarono una folgore uscire dal becco e un impetuoso tuono scuotere la terra mentre questi sembrava spiegare le ali. Prendeva sempre più quota, generando fulmini tutt’intorno seguiti da urla tonanti poi, all’improvviso, si immerse nuovamente. Il frastuono dei tuoni e le folgori furono avvertiti per qualche tempo, sin quando non rimase che un ribollire delle acque in superficie”. Nonostante la collocazione “naturalistica” della storia, sembrano abbastanza evidenti gli indizi che l’Uccello del Tuono potesse essere qualcosa di tecnologico.
All’Uccello del Tuono sono legate anche delle entità; infatti i Chippewa e i Sioux a questa divinità abbinano la figura di un dio, “Wakon” (da Wako che significa “sacro”). Questi scese tra gli uomini alla testa di una moltitudine di Uccelli del Tuono, in altre culture è raffigurato a bordo di una tartaruga. Ancora una volta, il cerchio si chiude. L’Uccello del Tuono e la tartaruga sacra potrebbero essere il ricordo distorto dello stesso oggetto volante da cui discesero esseri evoluti e chiamati, in base ai ceppi linguistici, Katchina o Wakon.
La stessa figura di Wakon è riscontrabile altrove: gli indios Waikano del Mato Grosso adorano il Dio “Wako”, venuto dalla terra oltre l’orizzonte, risalendo il Rio delle Amazzoni, con una flotta di canoe rotonde come gusci di tartarughe; nelle Antille, la tribù dei Karibi adora il “Grande Wako” che, vestito di una lunga veste bianca e dotato di poteri sovrannaturali, arrivò a bordo di vascelli volanti.
Navaho
Anche tra indiani Navaho sono ben presenti storie leggendarie e culti ancestrali relativi a contatti con esseri avanzati e divinizzati. In California, la Death Valley, la Valle della Morte, è chiamata dai Navaho “Tomesha”, la Terra Fiammeggiante.
I Navaho Paiute raccontano che Tomesha è abitata nel sottosuolo da quando “la Terra era giovane”. I suoi abitanti sono gli Hav-Musuvs che “viaggiano a bordo di canoe volanti, che si muovono con un lieve suono ronzante e possono catapultarsi in picchiata come solo un’aquila sa fare. Gli Hav-Musuvs sono vestiti di bianco e possiedono armi manuali a forma di tubo, capaci di stordire, generando una sensazione pungente, come una pioggia di spine di cactus”.
Secondo i Navaho sono ancora lì e le loro navi sono quelle che noi oggi chiamiamo UFO. Questa storia venne raccontata nel 1948 da OgaMake, uno sciamano Navaho, e riportata su “FATE Magazine” nel 1949.
Le corrispondenze con la fenomenologia UFO sono notevoli. Le canoe volanti si muovono con un “suono ronzante”, descrizione che coincide con quella fornita da un gran numero di testimoni di avvistamenti UFO, i quali hanno potuto udire un ronzio o una sorta di vibrazione ad alta frequenza, forse dovuta al sistema di propulsione di questi oggetti. Il movimento in picchiata che “solo un’aquila sa fare” potrebbe riferirsi alle loro capacità di muoversi con manovre repentine e improvvise. Nelle leggende Cherokee si parla di contatti volontari o involontari.
La più interessante parla di “un gruppo di cacciatori che, accampati nottetempo sulle montagne, scorse due luci nel cielo simili a stelle. Il fenomeno si ripeté anche la notte successiva, cosicché dopo aver discusso della cosa decisero, il mattino seguente, di recarsi sul luogo ove queste sembravano scomparire. Dopo aver cercato a lungo, si trovarono davanti a due strane creature, grosse e rotonde, coperte di pelame o piume da cui spuntava una testa simile a una tartaruga. Quando il vento spirava, le piume si agitavano e sprizzavano scintille. Incuriositi, riuscirono a portarle al villaggio e le tennero sotto controllo per alcuni giorni e alcune notti. Di giorno, colpite dal vento, emanavano scintille, mentre di notte si illuminavano come stelle.
Dopo alcuni giorni si alzarono da terra come palle di fuoco e in un attimo furono nel cielo sotto gli occhi esterrefatti della tribù”. Ecco che ritorna la tartaruga, il vascello cosmico, o velivolo, affiancato da altri elementi interessanti quali la forma tondeggiante, la partenza in verticale, la luminosità notturna e le scintille. Forse i due corpi di animale possedevano un’energia non naturale, ma frutto di congegni tecnologici. Sin qui le tradizioni. Ma negli ultimi anni alcuni nativi americani hanno iniziato a diffondere conoscenze ed eventi più recenti che li hanno visti protagonisti e che si collegano alla storia del loro popolo.
Anunnaki
Robert Morning Sky nel suo libro The Terra Papers. The Hidden History of Planet Heart (I Documenti della Terra. La storia segreta del pianeta Terra, inedito in Italia), ha suggerito una sua interpretazione della storia dell’uomo.
Egli racconta di come sei giovani indiani Hopi il 13 agosto 1947, un mese dopo il presunto crash di Roswell, furono testimoni del ritrovamento di un UFO precipitato e di un alieno superstite. Essi recuperarono l’essere e lo curarono, dandogli il nome di “Stella Maggiore”, in onore del suo pianeta d’origine. In cambio di questo, l’alieno raccontò agli Hopi la vera storia del pianeta Terra. Il nonno di Robert Morning Sky sarebbe stato uno dei sei giovani testimoni dell’evento, e raccontò di come l’umanità non sarebbe nata in modo naturale, ma venne creata per servire i Katchinas. L’uomo venne creato come schiavo e lavoratore, milioni di anni fa: era un animale che venne modificato geneticamente. Robert Morning Sky afferma che se oggi abbiamo coscienza ed esperienza lo dobbiamo proprio a questo intervento esterno. I concetti sin qui espressi si legano perfettamente con quanto affermato da Zecharia Sitchin circa la Genesi sumerica e gli Anunnaki.
Un’ulteriore affinità tra le conoscenze pellerossa e le tradizioni sumere, studiate da Sitchin, è osservabile in cosa gli Hopi affermano su di un particolare corpo celeste. Kachina Na-ga-shou, raccontano gli Hopi, dovrebbe apparire alla fine di questo ciclo (gli indiani dividono l’età della Terra in cicli: questo sarebbe il quinto); essa è una stella luminosa dall’aspetto blu e con “una croce sul viso”: Nibiru, secondo Zitchin il dodicesimo pianeta del Sistema solare, veniva rappresentato dai sumeri con il simbolo della croce. Secondo Morning Sky la razza dei Katchinas della stella blu, che milioni di anni fa avrebbero colonizzato l’intero Sistema Solare, provenivano dalla Stella del Cane, ovvero Sirio (stella oggetto di grande interesse anche da parte di diverse altre civiltà antiche, soprattutto gli egiziani e il popolo dei Dogon del Mali). Prima di abbandonare il pianeta “i maestri delle stelle” lasciarono tracce impresse nelle rocce del Grand Canyon sotto forma di impronte a sei dita: impronte che gli Hopi hanno sempre associato ai Katchinas della stella blu. Morning Sky ha affermato più volte che seppure il mondo occidentale consideri queste storie miti e leggende, gli indiani, invece, hanno sempre considerato tali entità come esseri viventi e loro maestri, ed egli è convinto che siano strettamente legate al fenomeno che noi chiamiamo UFO. Naturalmente una prova concreta di questi contatti non è stata trovata, ma al di là della effettiva connessione tra il fenomeno UFO e questi antichi miti, gli indiani d’America conservano comunque un sapere ed una cultura da riscoprire e da tenere in maggior considerazione come patrimonio dell’intera umanità.”
Giovanna D'Arco
Secondo alcune leggende sembra che Giovanna D’Arco sentisse delle voci di donne e che addirittura le vedesse. Secondo alcuni queste donne altro non erano che fate o meglio donne venute dallo spazio, cioè alieni. Queste leggende su Giovanna D’Arco sembrano riecheggiare una leggenda diffusa nell’Abruzzo interno in cui si narra di una donna che incontra delle fanciulle evanescenti che danzavano intorno ad un albero che poi la donna identifico come fate. Queste figure muliebri la picchiarono perché lei non le volle seguirle e dopo questo incontro la donna ebbe come dono o come castigo una forza sovrumana e il potere spostare con la forza del pensiero le cose. Infatti questa donna realmente esistita, secondo la leggenda, fu in grado di estrarre da una roccia una macina per l’olio con la sola forza del pensiero e trasportarla per svariati kilometri nel luogo dove ancora oggi la si può vedere.
Abruzzo e le fate
Sempre in Abruzzo sembra che in un braccio secondario del tratturo L’Aquila-Foggia, che collega Torricella Peligna a Bomba, la patria di Silvio e Bertrando Spaventa, un uomo si imbatté in un classico cerchio delle fate e ne rimase coinvolto. O meglio un uomo passando vicino a un casolare di campagna, di notte, vide delle figure evanescenti danzare in cerchio seduti su dei seggioli che ruotano su se stessi e nello stesso tempo formavano un cerchio. Queste figure sembravano danzare sulle note di una musica inesistente. Il povero viandante ne rimase affascinato e terrorizzato nello stesso tempo che svenne. Dopo molto tempo, l’uomo riprese conoscenza avendo, però, dei buchi di memoria che secondo alcuni non furono mai colmati!