Sabato, 27 Gennaio 2024 10:41

Andare a Canossa, l'umiliazione per chiedere perdono.

Scritto da Angela Curatolo
castello di Canossa dove avvenne il fatto castello di Canossa dove avvenne il fatto

Per tre giorni e tre notti mentre imperversava una bufera di neve ed Enrico IV giaceva inginocchiato, a piedi scalzi, vestito con un saio, il capo cosparso di cenere, di fronte al portale chiuso.

Quando si deve fare un gesto molto umiliante per ottenere qualcosa, per cambiare le conseguenze di un'azione si è soliti dire: andare a Canossa.

L'espressione nasce in riferimento all'umiliazione di Canossa, comune in Provincia di Reggio Emila. ed è utilizzata anche in altre lingue, come in quella tedesca (nach Canossa gehen), in inglese (go to Canossa), in francese (aller à Canossa) e in ebraico.

ll riferimento è storico, si riferisce ad un aneddoto accaduto nel 1077 quando Enrico IV, ultimo re dell'Impero g si umilia a Canossa chiedendo la revoca della scomunica a Papa Gregorio VII. L'umiliazione di Canossa è l'episodio avvenuto nel castello Matildico durante la lotta politica che vide contrapposta l'autorità della Chiesa, guidata da Gregorio VII, a quella imperiale di Enrico IV, il quale, per ottenere la revoca della scomunica inflittagli dal papa, fu costretto a umiliarsi attendendo inginocchiato per tre giorni e tre notti innanzi al portale d'ingresso del castello della contessa Matilde, mentre imperversava una bufera di neve, nel gennaio del 1077.

Il governo dell'imperatore Enrico IV, concepiva la legittimità del suo governo basata principalmente sul diritto divino ma fu caratterizzato dal tentativo di rafforzare l'autorità imperiale. In realtà si trattava di trovare un difficile equilibrio, dovendo assicurarsi da una parte la fedeltà dei nobili, senza, dall'altra, perdere l'appoggio del pontefice. Enrico mise in pericolo tutte e due le cose quando decise di assegnare la diocesi di Milano, divenuta vacante. Ciò fece scoppiare un conflitto con papa Gregorio VII, che è passato alla storia con il nome di lotta per le investiture.

Quando Enrico IV nel 1072 inviò il conte Eberardo in Lombardia per combattere i patari, nominando il chierico Tedaldo all'arcidiocesi di Milano, scatenò un'astiosa e lunga diatriba col papato. Gregorio VII replicò con una dura lettera, accusava l'imperatore di essere venuto meno alla parola data e aver continuato ad appoggiare i consiglieri scomunicati, mentre al tempo stesso inviò anche un messaggio verbale che lasciava capire che la gravità dei crimini, che gli sarebbero stati imputati a questo proposito, lo avrebbe reso passibile non solo del bando da parte della Chiesa, ma anche della deprivazione della corona.

Enrico non si preoccupò affatto e al sinodo di Worms, tenutosi il 24 gennaio 1076, quando il papa fu dichiarato deposto e ai romani fu chiesto di sceglierne uno nuovo. La famosa lotta per le investiture comincia da questi fatti. La reazione di Gregorio arrivò il 22 febbraio 1076, quando pronunciò la sentenza di scomunica contro l'imperatore, sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà e desacralizzandone l'impero. L'evento inimicò a Enrico IV i principi tedeschi, che nell'ottobre a Tribur gli imposero di ottenere la riconciliazione con il papa entro un anno, fissando inoltre un appuntamento per un'assemblea da tenersi con Gregorio ad Augusta il 2 febbraio dell'anno successivo. Enrico, appena seppe che il papa si apprestava a partire per Augusta, scese in dicembre con il suo esercito in Italia diretto a Roma, mentre Gregorio, avendolo appreso, si rifugiò presso il Castello di Canossa, ospite di Matilde di Canossa.

Nell'inverno fra il 1076 e il 1077 Enrico e la suocera, la contessa Adelaide di Susa, incominciarono la loro processione penitenziale a Canossa per ottenere la revoca della scomunica da parte di papa Gregorio VII. Con loro vi erano anche il cognato Amedeo II di Savoia e il marchese Alberto Azzo II d'Este. Per tre giorni e tre notti, dal 25 al 27 gennaio 1077, Enrico decise di attendere davanti al portale d'ingresso del castello della marchesa Matilde di Canossa per essere ammesso al cospetto del papa: l'attesa ebbe luogo mentre imperversava una bufera di neve ed Enrico giaceva inginocchiato, a piedi scalzi, vestito con un saio, il capo cosparso di cenere, di fronte al portale chiuso. Solo grazie all'intercessione del padrino, l'abate di Cluny Ugo, e della marchesa Matilde, poté essere ricevuto dal papa il 28 gennaio.

L'umiliazione di Canossa ebbe un forte effetto morale, ma i risultati pratici furono presto di altro tipo. Rientrato in Germania, Enrico si accorse che lì non aveva più seguito. Il 15 marzo a Forchheim i principi tedeschi lo avevano deposto eleggendo in sua vece il cognato Rodolfo di Svevia, che fu incoronato a Magonza dall'arcivescovo Sigfrido. Enrico sconfisse due volte il rivale in battaglia e Gregorio VII il 7 marzo 1080 lo scomunicò nuovamente con l'accusa di non aver rispettato i patti di Canossa e di aver impedito lo svolgimento dell'assemblea ad Augusta.

La lotta per le investiture proseguì con la sconfitta di Rodolfo, che perse la vita in battaglia, la nomina a Bressanone dei vescovi fedeli a Enrico in un concilio convocato da Enrico stesso per il 25 giugno 1080, di un antipapa nella persona di Guiberto, arcivescovo di Ravenna, che assunse il nome di Clemente III, la discesa di Enrico in Italia e la conquista da parte del suo esercito della città di Roma, con papa Gregorio VII asserragliato in Castel Sant'Angelo. Quest'ultimo, per contrastare Enrico e l'antipapa, si alleò al normanno Roberto il Guiscardo, non prima di avergli tolto il 29 giugno 1080 a Ceprano la scomunica che gli aveva inflitto sei anni prima per aver invaso il territorio pontificio di Benevento.

 

Ultima modifica il Sabato, 27 Gennaio 2024 11:11