Il matrimonio riparatore una piaga debellata dall'ordinamento italiano soltanto nel 1981, purtroppo la mentalità che considerava la donna una merce, un possesso, ancora antropologicamente è in agguato nel tessuto sociale, nelle case, negli uffici, tra le strade quando si è al volante. Il matrimonio riparatore era voluto per superare una situazione di empasse o disonorevole per le famiglie, a volte voluto dai nubendi che concordavano, forse, la fuitina per dare impulso ai genitori che erano contrari al matrimonio, nei casi più squallidi era un matrimonio forzato in seguito ad uno stupro, anche di gruppo.
Nella Bibbia si legge: "Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l'uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te. Ma se l'uomo trova per i campi la fanciulla fidanzata e facendole violenza giace con lei, allora dovrà morire solo l'uomo che è giaciuto con lei,ma non farai nulla alla fanciulla. Nella fanciulla non c'è colpa degna di morte: come quando un uomo assale il suo prossimo e l'uccide, così è in questo caso, perché egli l'ha incontrata per i campi. La giovane fidanzata ha potuto gridare, ma non c'era nessuno per venirle in aiuto. Se uno trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, l'afferra e giace con lei e sono colti in flagrante, l'uomo che è giaciuto con lei darà al padre di lei cinquanta sicli d'argento; ella sarà sua moglie, per il fatto che egli l'ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita". (Deuteronomio, 22,23-29)
Nella Bibbia i germi del "matrimonio riparatore": era concepito come una forma di risarcimento e di presa di possesso della donna, che, secondo questa concezione patriarcale, avendo perduto l'onore, non sarebbe più potuta essere presa in moglie da nessun altro uomo.
Il costume del matrimonio riparatore sopravvisse nella cultura occidentale fino a tempi molto recenti: in Italia fino al 1981: se un uomo commetteva, nei confronti di una donna nubile e illibata, stupro o violenza carnale punibile con la pena prevista dall'art. 519 e segg. del codice penale, onde evitare il processo o al fine di far cessare la pena detentiva inflitta, poteva offrire alla ragazza il matrimonio riparatore facendo così cessare ogni effetto penale e sociale del suo delitto (art. 544 cod. pen., ora abrogato); il reato era estinto anche per gli eventuali complici del sequestratore. Lo stupratore, affinché potesse fruire del beneficio di legge, doveva offrire il matrimonio alla ragazza addossandosi altresì tutte le spese della cerimonia e senza poter pretendere alcuna dote.
Il matrimonio riparatore, dunque, oltre a reintegrare, agli occhi dell'opinione pubblica, l'"onorabilità" delle donne e della loro famiglia, tutelava e salvava sul profilo giudiziario lo stupratore e i suoi eventuali complici.
In Italia tutto cambiò quando una giovane disse no al matrimonio ripatore e scelse di denunciare i suoi stupratori! La prima donna italiana a ribellarsi al matrimonio riparatore fu la siciliana Franca Viola nel 1966, classe 1947, rifiutandosi di sposare pubblicamente il suo rapitore e stupratore. L'usanza del matrimonio riparatore è stata legalmente abolita in Italia nel 1981, attraverso l'abrogazione dell'art. 544 del codice penale (art. 1 L. 5/8/1981, n. 442).
Figlia di una coppia di coltivatori diretti e, all'età di quindici anni, con il consenso dei genitori si fidanzò con Filippo Melodia, nipote del boss mafioso Vincenzo Rimi, e membro di una famiglia benestante. Tuttavia in quel periodo Melodia venne arrestato per furto e appartenenza ad una banda mafiosa e ciò indusse il padre di Franca, Bernardo Viola, a rompere il fidanzamento. La famiglia Viola fu vittima di violente minacce e intimidazioni: il loro vigneto venne distrutto, il casolare annesso bruciato e Bernardo Viola addirittura minacciato con una pistola al grido di "chista è chidda che scaccerà la testa a vossia" eppure non cambiò la sua decisione.
La vicenda del matrimonio "Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce".
Il 26 dicembre 1965, all'età di quasi 18 anni, Franca venne rapita (assieme al fratellino Mariano di 8 anni, subito rilasciato) da Melodia, che agì con l'aiuto di dodici amici, con i quali devastò l'abitazione della giovane e aggredì la madre che tentava di difendere la ragazza. Franca fu violentata, malmenata e lasciata a digiuno, quindi tenuta segregata per otto giorni inizialmente in un casolare al di fuori del paese e poi in casa della sorella di Melodia ad Alcamo stessa; il giorno di Capodanno, il padre della ragazza fu contattato dai parenti di Melodia per la cosiddetta "paciata", ovvero per un incontro volto a mettere le famiglie davanti al fatto compiuto e far accettare ai genitori di Franca le nozze dei due giovani. Il padre e la madre di Franca, d'accordo con la polizia, finsero di accettare le nozze riparatrici e addirittura il fatto che Franca dovesse rimanere presso l'abitazione di Filippo, ma il giorno successivo, la polizia intervenne all'alba facendo irruzione nell'abitazione, liberando Franca ed arrestando Melodia e i suoi complici.
Secondo la morale del tempo, una ragazza uscita da una simile vicenda avrebbe dovuto necessariamente sposare il suo stupratore, salvando il suo onore e quello familiare. In caso contrario, sarebbe potuta rimanere zitella e additata come "donna svergognata". All'epoca, la legislazione italiana, in particolare l'articolo 544 del codice penale, recitava:
"Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali"; in altre parole, ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto "matrimonio riparatore", contratto tra l'accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerata oltraggio alla morale e non reato contro la persona.
Il caso sollevò in Italia forti polemiche divenendo oggetto di numerose interpellanze parlamentari. Quasi un anno dopo al processo al Tribunale di Trapani, presieduto dal giudice Giovanni Albeggiani e con Ludovico Corrao legale di parte civile, la difesa tentò invano di screditare la ragazza, sostenendo che fosse consenziente alla fuga d'amore, la cosiddetta "fuitina", un gesto che avrebbe avuto lo scopo di ottenere il consenso al matrimonio e mettere la propria famiglia di fronte al fatto compiuto, e che il successivo rifiuto di Franca di sposare il rapitore sarebbe stato frutto del disaccordo della famiglia per la scelta del marito. Filippo Melodia fu condannato il 17 dicembre 1966 a 11 anni di carcere, ridotti il 10 luglio 1967 al processo di appello di Palermo a 10 anni con l'aggiunta di 2 di soggiorno obbligato nei pressi di Modena. Sentenza confermata in Cassazione il 30 maggio 1969. La Cassazione condannò sette complici di Melodia a 5 anni e 2 mesi ciascuno.
Si sposò nel 1968 con un giovane compaesano e amico d'infanzia, Giuseppe Ruisi, ragioniere, che insistette nel volerla prendere in moglie, nonostante lei cercasse di distoglierlo dal proposito per timore di rappresaglie. Come la stessa Franca ricordò anni dopo in una delle rare interviste concesse alla stampa, il futuro marito le avrebbe dichiarato di non temere ritorsioni da parte dei Melodia, dichiarando: "Meglio vivere dieci anni con te che tutta la vita con un'altra".
Giuseppe Saragat, Presidente della Repubblica Italiana, inviò alla coppia un dono di nozze per manifestare a Franca Viola la solidarietà e la simpatia sua e degli italiani. In quello stesso anno i due sposi furono ricevuti dal papa Paolo VI in udienza privata. La coppia ebbe due figli; si trasferì a vivere a Monreale per i primi tre anni di matrimonio, per poi tornare ad Alcamo.
Melodia, nonostante fosse detenuto, fu sospettato dal colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo (ucciso dalla mafia nel 1977) di essere la mente dietro alcuni sequestri di persona a scopo di estorsione avvenuti in provincia di Trapani. Uscì dal carcere nel 1976 e sposò una ragazza conosciuta per corrispondenza, trasferendosi nei dintorni di Modena, dove però fu ucciso da ignoti, il 13 aprile 1978, con due colpi di lupara.
La norma invocata a propria discolpa dallo stupratore, l'articolo 544 del codice penale, sarà abrogata con la legge 442, promulgata il 5 agosto 1981 a sedici anni di distanza dal rapimento di Viola, e solamente nel 1996 lo stupro da reato "contro la morale" sarà riconosciuto in Italia come un reato "contro la persona".
L'8 marzo 2014, Franca Viola è stata insignita al Quirinale dell'onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente della repubblica Giorgio Napolitano con la motivazione: "Per il coraggioso gesto di rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell'emancipazione delle donne nel nostro Paese".
La sua vicenda ispirò, nel 1970, il film La moglie più bella di Damiano Damiani, in cui la sua figura è rappresentata dal personaggio di Francesca Cimarosa, impersonata da un'allora giovanissima ed esordiente Ornella Muti, mentre il cantautore Otello Profazio le dedicò la canzone La regina senza re. La scrittrice Beatrice Monroy l'ha resa oggetto, nel 2012, del suo libro Niente ci fu (ed. La Meridiana), che venne però rinnegato dalla stessa Franca Viola in quanto dipingeva la figura del padre come un uomo cattivo e prepotente.
Allo stesso modo, anche Oliva Denaro, protagonista dell'omonimo romanzo di Viola Ardone, è tratta liberamente dalla figura di Franca Viola.